Nel corso degli ultimi 15/20 anni di revenge film, ossia di personaggi solitari che hanno come unico scopo nella vita la vendetta verso qualcuno, ne abbiamo visti molti. Alcuni, come Io Vi Troverò, V per Vendetta o magari il più recente The Equalizer (più il primo che il secondo), sono stati degli acuti davvero originali, ritagliati appositamente per l’attore principale, che raccontavano di tensione e violenza senza mai dimenticarsi dell’emotività e della profondità del solista. Peppermint, pur tentando di scopiazzare qua e là certe pellicole, non riesce a trovare una sua dimensione ed una sua originalità, ma incornicia nella scarsa veridicità della sua protagonista (Jennifer Garner) un cancro, quello della corruzione, che crea disparità, rancore e tanta, tanta rabbia.
Tutti devono pagare
Riley North vive a Los Angeles con la sua famiglia, dove assolve felicemente ai ruoli di moglie e mamma. Purtroppo, la donna deve assistere nell’impotenza più totale all’assassinio del marito e della figlia da parte di alcuni narcotrafficanti. Riley testimonia contro gli assalitori, ma per via di un giudice corrotto, le sue dichiarazioni vengono invalidate e il processo annullato. Dopo alcuni anni, la vedova torna all’ovile, ma questa volta è diventata una spietata assassina, trascinata dall’odio e dalla sete di vendetta, per la quale, ad uno a uno, troverà e punirà i colpevoli del misfatto, con una nazione che l’acclamerà come eroina e la “giustizia” che tenterà di fermarla.
Il punto su cui si snoda la pellicola diretta da Pierre Morel (già autore del primo Taken) è proprio questo: la parola “giustizia”! In sé il termine dovrebbe già inglobare un senso di uguaglianza, di parità, di giustezza, di equità… Purtroppo, al mondo d’oggi, che lo si ammetta o meno, la legge non è uguale per tutti, non riesce proprio a garantire equipollenze; la politica e soprattutto i soldi, troppo spesso, sono i padroni dell’aula di tribunale. Infondo è questo che accade a Riley, una mancata sentenza, una giusta punizione per chi le ha strappato la vita di dosso, ed è questo che cercherà, dopo aver acquisito un particolare tipo di addestramenti e abilità, nelle sue vittime.
La scarsa veridicità del soggetto, diverso da quelli già scafati e già abilitati ad uccidere come Robert McCall o Bryan Mills, non impediscono alla protagonista però di avere tutte quelle caratteristiche che si addicono al suo personaggio: Riley è una donna senza sorriso, incapace di gioire di qualcosa, che troverà qualche sprazzo di serenità e soddisfazione solo quando toglierà la vita ad un colpevole, solo quando è lei a sentenziare sulla vita o sulla morte, è una donna irrimediabilmente sola, che pur ottenendo il consenso e l’empatia di una nazione intera, non si sente mai accompagnata, perché le uniche persone che davvero contavano nella sua vita ormai non ci sono più.
Quando abbiamo accennato alla scarsa veridicità del personaggio, non ci riferivamo solo alla preparazione che in cinque anni la donna riesce a mettere insieme e ad assemblare, ma anche alla vena populista che si esprime in lei, perché una semplice donna media americana, beffata dal sistema, riesce essa stessa ad abbattere il sistema imponendosi come un’eroina agli occhi della nazione. La realtà, purtroppo, è che ad oggi, gesta simili sarebbero interpretati solo come follia dovuta al dolore; nessuno scaverebbe più a fondo per estrarre il marcio, tutti abbiamo troppo da perdere per incoronare un’assassina come un eroe.
Violento ma non troppo
Le scene d’azione, che sono ovviamente regnanti in un film del genere, non sono poi così originali, così come non è lo è la trama e il thriller. Tuttavia, il regista riesce ad azzeccare qualche sequenza, tra cui l’ingresso di Riley nel covo dei narcotrafficanti, farcendo il tutto con una camera frettolosa e viscida, con montaggi vorticosi che sfocano e raddoppiano le immagini e tentano così di creare quel senso di caos e delirio che il pubblico si aspetta.
La tensione che dovrebbe possedere una pellicola simile non è poi così pronta e pungente, e nemmeno il “fattore violenza” – che in questi film più che mai dovrebbe essere il principe, nonché il testimone della rabbia del personaggio – è poi così marcato ed incontrollato.
Peppermint è un buon revenge film, ma nulla che non abbiate già visto, un minestrone riscaldato in cui spicca la femminilità del vendicatore e l’ottima interpretazione della bellissima Jennifer Garner, che torna su di un palcoscenico action nei panni di un ex mamma ora portatrice di devastazione, che forse non avrà all’appeal e l’ipnotismo de Il Corvo, ma di certo sa come emozionarci e coinvolgerci.