L’aspettavamo, l’aspettavamo con spasmodica ansia; la terza stagione di True Detective (per chi l’ha seguita in lingua originale sottotitolata) si è conclusa nella notte di domenica 24 febbraio. Otto episodi, né uno in più, né uno in meno delle precedenti due stagioni, pieni di sostanza e fascino, stracolmi del due volte vincitore del Premio Oscar Mahershala Ali, saturi delle sue favolose tre facce, tre interpretazioni e tre visuali temporali del protagonista, immerse in una nuvola di thriller investigativo e noir, come solo Nic Pizzolatto sa raccontare.
Il caso Purcell
Siamo nell’Arkansas del 7 novembre 1980, un posto dove il razzismo e le diversità cromatiche pesano come macigni sulla vita di tutti i giorni, un luogo in cui due poliziotti, due colleghi, uno bianco e uno nero, vengono visti come un’eresia sia dalla popolazione candida che da quella di colore. I due fratelli Purcell, un bambino e una bambina, usciti in bicicletta per le strade della periferia, scompaiono nel nulla per il dolore immenso del padre, colpevole di aver dato troppa fiducia ai suoi ragazzi senza il giusto controllo. Il caso viene affidato a due detective della polizia di stato, Wayne Hays e Roland West, due poli opposti, due nemesi (e non solo per il colore della pelle), legati però da una profonda amicizia e da un solidissimo rispetto. Il piccolo Purcell viene ritrovato senza vita nel bosco, mentre della sorella, purtroppo, non vi è traccia. Cosa è successo? Chi li ha avvicinati? Chi li ha rapiti?
La vicenda, come è appurabile dalle righe sopra, è davvero molto simile a quella narrata nella prima favolosa stagione di True Detective, quella che passò alla storia e consacrò, semmai ce ne fosse stato bisogno, i talenti di Matthew MacConaughey e Woody Harrelson. La foschia della Louisiana viene convertita e sostituita dall’atmosfera calda ed intrisa di lercio dell’Arkansas, zone in cui la semplicità e la genuinità delle persone è cristallina e sventolata al pubblico, ma anche patria di segreti ed atti indicibili, di pieghe del male che si allentano e si espandono su di un fatiscente ed ingannevole telone bianco e senza peccato.
Se la seconda stagione di True Detective aveva deluso le aspettative per via di un primogenito davvero geniale ed accattivante, se non era riuscito a comprimere e a concentrare il talento di Farrell e Vaughn per via di troppi personaggi e di una trama francamente ed esageratamente fitta, nebbiosa e stordente; il terzo atto, realizzato a distanza di quattro anni dal secondo, è un prodotto di altissima qualità. Pur non toccando le cime astrali della prima stagione, questa storia dipanata in tre archi temporali differenti convince ed ipnotizza. Il carisma dietro la telecamera di Mahershala Ali si esibisce nei panni del detective Hays, ex reduce di guerra e giovane investigatore che farà di questo caso la sua ragione di vita.
Come già accennato, ogni puntata è un continuo balzo temporale nell’esistenza di Hays: dapprima bello e aitante, con una capigliatura corta, deciso ma debole allo stesso tempo, ex militare, capace di amare ma spaventato dall’amore e dal matrimonio; poi, a distanza di 10 anni, ancora un poliziotto, che torna sul campo grazie alla chiamata del suo ex collega West, con la riapertura del caso dei due piccoli scomparsi per via di alcune cruciali novità, padre di due bambini, con un matrimonio che sta tirando dritto verso gli scogli; ed infine anziano, ormai in pensione, vedovo, malato di quella che sembra essere demenza senile, un veleno patologico che gli sta estorcendo i ricordi, privandolo delle memorie e dei momenti vissuti giorno dopo giorno, ma ancora incaponito sul vecchio caso, con un figlio poliziotto che cerca di assecondarlo, ma anche di invitarlo a lasciar perdere; ed infine un unico comun denominatore, il caso Purcell!
In tutto questo, l’attore di Okland, fresco del secondo Oscar come Miglior Attore non Protagonista con Green Book, supera il trucco semplice degli addetti ai lavori, ingobbendosi e sfavillando facce confuse nelle fasi da anziano, sfoderando sicurezza e spavalderia in quelle giovani, invetrinando stanchezza e logoramento in quelle centrali; tre esibizioni, un unico protagonista. Il cammino del detective Hays non è poi così simile a quello di Rust Cohle e Marty Hart, perché se è vero che nella prima stagione di True Detective il passo sembrava a due, paritario e parallelo, qui la corsa è solitaria, solamente accompagnata dalla bravura di Stephen Dorff (nelle vesti del detective Roland West), ma un viaggio individuale nella vita e nel male che si cela dietro alla scomparsa/omicidio dei due bambini.
Il noir secondo Pizzolatto
Detto ed apprezzato il riferimento diretto alla prima stagione di True Detective e al caso seguito da Cohle e Hart, che in questa terza stagione viene palesato senza troppi preziosismi e senza troppi veli, il terzo capitolo ci mette dell’originalità quando caratterizza i personaggi secondari con maestria e furbizia in soli otto episodi da circa un’ora ciascuno.
Entusiasmante è infatti il personaggio di Amelia, moglie di Wayne, una donna nera in un mondo di bianchi, ma soprattutto una “donna” in un mondo di “maschi”. Che fosse giovane o più matura, fa poca differenza, ogni volta che vediamo danzare dinanzi all’obbiettivo Carmen Ejogo strimpellano le note del coraggio, della forza, della passione per ciò che ama, della voglia di non arrendersi, di avere cura della famiglia e di suo marito senza però tralasciare se stessa. Bene anche il dolore straziante e demolente, così come la speranza che brillano negli occhi di Tom Purcell (Scoot McNairy), un padre alcolista e vittima di ripetuti tradimenti, distratto dalla pochezza della sua esistenza e poi infinitamente pentito dopo la perdita delle sue due perle.
Sul finale, ovviamente, non possiamo spifferare nulla; ma non vi aspettate grandissimi colpi di scena, solo qualche acuto e qualche trovata. L’epilogo, visti i presupposti, avrebbe forse potuto essere un po’ più concitato, con una risoluzione del caso un po’ più complessa e articolata, ma infondo la chiusura del mistero, così come accaduto nella prima stagione, è secondario rispetto all’unica cosa che volevamo davvero sapere: il detective Wayne Hays troverà mai pace?
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Buona Visione!