Alla visione della prima stagione, avevamo definito The Punisher probabilmente il miglior prodotto del binomio Marvel/Netflix, superando per emotività e caratterizzazione del personaggio perfino la prima produzione di Daredevil. Quando siamo arrivati ormai all’ennesimo capitolo di una saga che si sta consumando e lentamente sfiorendo, ecco che spunta il secondo atto dedicato a Frak Castle, l’ex marines dall’instancabile sete vendicativa e dalla pietà che si attesta sullo zero quando si parla di criminali che non meritano altro che la morte! Che si ami o che si odi, che si avallino o meno i suoi modi di operare, The Punisher risulta essere un personaggio ipnotico e molto caratteristico.
Giudice, Giuria e Boia
Non è passato molto tempo dalle vicende newyorkesi del primo capitolo. Frank Castle cerca un po’ di pace nel clima corvino e freddo del Michigan e dell’Ohio, ma una bella sera, in un pub, fa la conoscenza di una misteriosa ragazzina, preda di alcuni malviventi che le stanno dando la caccia. Frank non può rimanere indifferente alla silenziosa richiesta di aiuto di chi non può difendersi, e quindi decide di intervenire a modo suo. Allo stesso tempo, sfregiato e con una maschera a coprire il viso deturpato, uno smemorato Billy Russo fugge dall’ospedale in cui era ricoverato. L’agente Madani della Homeland Security riporta a New York The Punisher per finire il lavoro che aveva iniziato, per uccidere una volta per tutte quel mostro del suo ex commilitone.
Normalmente, il viaggio di un eroe, o antieroe, come The Punisher è uno di quelli solitari – ragione per cui non ha fatto parte dei Defenders -, tuttavia, questa volta ha bisogno di fare gioco di squadra, prendendosi a carico la vita di una ragazzina a cui si affezionerà quasi fosse una figlia, accompagnato dal coraggio e dalla fedeltà di Curtis, e spalleggiato da una Madani combattuta, che vorrebbe fare la cosa giusta, ma che allo stesso tempo vede nella morte di Russo la sola fine dell’incubo in cui è imprigionata. Il rapporto tra Frank e la giovane ragazza si evolve con il passare delle puntate, passando per la durezza del personaggio principale, arricchendosi anche in un finale tenero ed emotivo. Alla frase “se fai del male alla ragazza, ti ammazzo!”, urlata più volte da Frank, è facile intuire quanto il punitore abbia il cuore sciolto dagli occhi chiari di un’adolescente.
Oltre agli amici, però, come sempre ci sono i cattivi. Questa volta le nemesi sono due. La prima è il solito Billy Russo che, sfregiato e affetto da una perdita di memoria, si affiderà alle cure e alla passione della sua psichiatra con cui condivide il dolore evocato del passato, e perfino ad una famiglia di ex militari che lui stesso formerà. La seconda è un ex nazista redento, dedito ormai alla preghiera, alla fede e all’amore per una moglie che si sta spegnendo beccata da una brutta malattia e alla fedeltà per un uomo molto ricco, manipolatore e burattinaio, lo stesso che sta dando la caccia alla ragazzina protetta da Frank. John Pilgrim, questo è il nome della seconda nemesi di Frank, è un uomo tutto d’un pezzo, di poche parole, che odia le parolacce, che vive secondo un credo preciso, ma che accetta perfino l’omicidio quando la vittima lo merita. Infondo, non è poi così diverso da Frank.
Un po’ meno spinto dalla vendetta, esaurita quasi totalmente nel primo capitolo, il The Punisher della seconda stagione è comunque un personaggio che funziona e come nel piccolo schermo. Il suo codice etico è quasi una religione, tanto come la sua crudeltà di fronte al male. Frank, però, sa amare, e non lo fa solo con i suoi ricordi più cari, ma finalmente lo dimostra anche a persone in carne ed ossa: la ragazzina, Curtis e perfino verso Karen Page; a modo suo, ma anche lui sa amare.
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Esattamente come nel primo capitolo, anche qui i fiumi di sangue scorrono macchiando la pelle candida dei protagonisti, prima fra tutti quella di Frank. Secondo noi, lo show ideato da Steve Lightfoot meriterebbe forse un pegi ancora più severo. Di sangue e di scene dure da digerire ce ne sono davvero tante, e di certo non è roba per stomaci deboli.
Ad ogni modo, questa voluta caratteristica rispecchia un po’ l’originalità e il modo d’essere del personaggio creato da Stan Lee (a cui viene dedicata la serie poco prima dei titoli di coda), un eroe che, come tutti quelli del filone Marvel/Netflix, viene ampiamente umanizzato, lasciando che il suo lato emotivo sgorghi attraverso i suoi occhi e le parole che pronuncia, un fattore in contrapposizione con il recentissimo Titans, figlio del binomio Netflix/DC, dove il fattore fumettistico è molto più marcato ed evidente.
Il secondo atto di The Punisher riesce a trovare comunque quella rabbia che aveva contraddistinto il personaggio di Frak Castle, infiorettandosi anche in un comparto musicale molto particolare ma decisamente azzeccato. The Punisher 2.0 è un prodotto di qualità, che sfiora i livelli raggiunti dalla prima stagione e supera, di gran lunga, il resto degli show Marvel/Netflix.