Due ore e venti piene di azione, luci ed effetti speciali. Di certo, di questo Aquaman non si potrà criticare la spettacolarità e l’intensità grafica; ma del resto non potevamo aspettarci solo questo. Infatti, quello del protagonista è un viaggio vero e proprio, un percorso di vita che dovrà condurlo dai nastri di partenza di un figlio bastardo ed illegale, a rivendicare il proprio retaggio regale, passando per la ricerca di un’arma indispensabile e potentissima da usare in battaglia contro la cattiveria e la perfidia del suo fratellastro usurpatore Orm
Quel sospirato contorno…
Dall’unione clandestina di un guardiano di un faro e di Atlanna, regina ribelle del regno sottomarino di Atlantide, nasce Arthur, mezzo sangue dotato di poteri e forza straordinari. Il ragazzo cresce lontano dai regni sottomarini, ma viene comunque consigliato da Vulko, membro reale, che segretamente gli insegna la vita di Atlantide. Arthur, però, non vuole saperne di ottemperare al suo ruolo di Re, ma si limita ad atti eroici in mare, nel quale si scontra con dei pirati. Tuttavia, la guerra sottomarina è imminente e Mera, figlia di Re Nereus, cerca di convincere Arthur ad abbracciare la sua genetica causa, non prima di aver recuperato il necessario e perduto tridente di Atlan.
Come si evince dalla trama, il percorso di Arthur, non solo nel nome, è molto simile a quello del celebre Re Artù: reticenza e quasi riluttanza ad accettare la sua natura e le sue responsabilità reali, la ricerca di un’arma da estrarre chissà dove per vincere la battaglia e addirittura ben due villain nei panni dell’antitesi. Jason Momoa, la sua presenza scenica e fisica, e perfino la sua simpatia fanno di tutto per dare al personaggio di Arthur un po’ di carisma e personalità, e a tratti ci riescono pure. Il problema, purtroppo, nasce dal contorno. Un eroe, da solo, in una storia come questa, non è abbastanza per saturare ogni falla narrativa e rendere appetibile un prodotto altrimenti figlio solo della spettacolarità visiva; ed è proprio qui che il film, passateci la battuta, fa “acqua”!
Dei personaggi di contorno, Mera, Vulko e perfino di Orm non ci viene detto quasi nulla, tanto che dopo due ore e mezza circa rimaniamo ancora con tanti interrogativi e poche risposte. Se a questo aggiungiamo una sceneggiatura carente e a tratti incoerente, come la capacità di individuare Mera degli Atlantidei perfino nel deserto del Sahara e poi non riuscire a beccarla nel ventre di una balena a due passi da Atlantide, i limiti del film diventano cristallini e, forse, imperdonabili. Ben sviluppato è invece il pirata Manta, probabilmente la vera antitesi di Arthur, di cui viene indagata la morte del genitore. Manta è spietato, cattivo e avido, ma il suo comportamento assassino appare troppo un capriccio piuttosto che le conseguenze di una tragedia e di sofferenza. Insomma, la sceneggiatura del film ha lasciato molto a desiderare, ma si concluderà, a metà dei titoli di coda, con una scena extra, preludio ad un seguito.
Tanta, troppa spettacolarità
Al film di Wan, va comunque riconosciuta la meraviglia delle scene in cui troneggia la grafica, quelle d’azione. Il regista, forse ancora con un pensiero al suo ultimo Fast and Furious 7, imbandisce delle sequenze davvero spettacolari: su tutte abbiamo apprezzato in particolar modo l’inseguimento nella cittadina siciliana di Erice e, probabilmente, la battaglia finale. I fuochi d’artificio grafici, se pur incorniciati alle volte da tratteggi kitsch, sono spavaldi ed entusiasmanti, così come il tambureggiare delle musiche scelte in piena coerenza con lo stile adottato, e fibrillanti e montanti al momento giusto.
Fin troppi colori, invece, si usano negli abiti dei protagonisti e nelle loro acconciature; specie quando il rosso dei capelli di Mera è più carico di quello che sfoggia nei fumetti e va ad oscurare la sua tuta verde, o quando gli abissi di Atlantide sono bioluminescenti quanto la foresta di Pandora in Avatar, o ancora le regge bianche come il latte che mette sul palcoscenico. Di certo, bisogna apprezzare la varietà delle location offerte, curate con il computer fino allo sfinimento, forse perfino abusate dalla tecnologia. Tante situazioni, tante popolazioni diverse esibite, un mondo segreto di dinosauri e l’immancabile Kraken raccontato dalla voce telepatica di Julia Andrews.
Aquaman è un film forse fin troppo fantasy, poco realistico, ma infondo è la linea guida in cui DC ha improntato le sue opere, in ultimo il recente Justice League. Ad oggi, la pellicola migliore che la DC è riuscita a sfornare rimane Wonder Woman, per intensità narrativa e caratterizzazione del personaggio. Impossibile comunque non dare la sufficienza a questo Aquaman, che forse metterà in mostra falle non indifferenti, ma porta sul grande schermo anche un grande sforzo grafico e tanta magnificenza visiva.