Raccontare per l’ennesima volta la storia del Principe dei Ladri sembrava un affare ridondante ed inutile. Ecco perché Otto Bathurst, il direttore d’orchestra, sotto la produzione della Appian Way – di proprietà di un certo Leonardo Di Caprio – opta per restaurare il mito, tentando di renderlo moderno ed attuale con estremismi abusati ed ossessivi. La recitazione di Taron Egerton e dei suoi compagni di truppa tenta di dare lustro ad una pellicola che invece assomiglia troppo ad uno strano incrocio tra James Bond e Fast & Furious dislocato in un medioevo cupo ed oscuro tanto quanto i tempi moderni, ma anche decisamente irreale. Nel mezzo, a brillare, è invece Eve Hewson e la sua Lady Marion, vuoi per la freschezza dell’attrice che altro non ha che una più fievole notorietà rispetto ai suoi più esperti ed acclamati colleghi, vuoi perché il suo personaggio gode forse di un canovaccio un po’ più ricco e meno banalizzato.
Una leggenda contemporanea
Robin di Loxley combatte nella terza crociata in Terra Santa. Bloccato, insieme ai suoi commilitoni, sotto il fuoco nemico di una città in rovina, Robin si scontra con un abile arciere, che potrebbe anche avere la meglio su di lui se non fosse che l’intervento di Guy, capitano di Robin, salva la pelle al ragazzo. È proprio Guy a minacciare il nuovo prigioniero dell’uccisione del figlio; atto che Robin ripudia, mettendosi in mezzo e punito per diserzione, ed infine rispedito a casa nell’oblio della disgrazia. E disgraziata è anche la Loxley che ritrova, merito di un tiranno sceriffo di Nottingham in combutta con l’egemonia e la brama di potere della Chiesa, che spreme un popolo esausto ed affamato. Se non bastasse, anche l’adorata e amata Marion, dopo due anni da quella che era stata dichiarata morte certa del suo Robin, si è rifatta una vita accompagnandosi con Will Scarlet.
In molti avevano vestito i panni della celebre leggenda inglese di Robin Hood. Forse, le versione che si erano lasciate preferire in assoluto erano quelle incarnate da Kevin Costner e quella più recente di Russell Crowe. Tuttavia, vuoi per i roboanti nomi incolonnati nel cast, vuoi per la produzione di Di Caprio, abbiamo ingurgitato l’ennesima riproposizione, sperando, magari, in qualche tocco innovativo. In Effetti, qualche novizia c’è, ma è l’ossessività e l’esagerazione dei suoi tratti che proprio non abbiamo digerito. In qualche modo, il medioevo impalcato da Bathurst è uno di quelli anti storici; vale a dire un’ambientazione che, pur possedendo un più che appropriato clima cupo ed in piena sintonia con la narrazione e le questioni che apre, soffre di preziosismi troppo moderni che ne snaturano l’essenza ed il fascino. Le carrozze si comportano come se sotto il sedere avessero 500 cavalli, i vestiti dei protagonisti luccicano e smerigliano come provenissero dal futuro, le frecce vengono esplose come espulse da armi automatiche, i paesi arabi sembrano esattamente il riflesso di quello che ci raccontano i telegiornali ogni giorno! Insomma, tutto questo è l’insensato tentativo di rendere Robin un po’ più vicino ai Duemila, ma il risultato è buono solo per i videogiocatori, più che per un pubblico in una sala cinematografica.
Lo slow-motion delle sequenze di azione, anch’esso abusato e spesso non richiesto, è forse il testimone numero uno di quanto detto sopra; in un film che privilegia l’action e che sembra voler dare per scontata la trama, finendo per sminuire ed affossare perfino i suoi protagonisti.
Mescola, mescola, mescola…
Nel calderone di Robin Hood – L’Origine della Leggenda è possibile trovare un po’ di tutto. Purtroppo, il troppo copia ed incolla, e l’accozzaglia di generi che viene esibita tramite personaggi che sembrano uscire ognuno da un film diverso, rendono le sequenze troppo chiassose e poco decifrabili, esattamente come le loro scene action, più figlie del caos che di effetti speciali.
Il Robin di Egerton è ben interpretato, ma non supportato da una sceneggiatura carente praticamente ovunque. Le frasi pronunciate dal nostro eroe andrebbero bene, forse, per un videogioco (come già accennato), ma restano invece prive di impatto per un grande schermo. Ciononostante è palese l’ardire del regista di far assomigliare il suo principe a quello oscuro dei Batman di Cristopher Nolan, così come Ben Mendelsohn, nei panni dello sceriffo di Nottingham, non è altro che una nuova versione irata e carismatica di villain già visto in Rogue One o in Ready Player One, con l’aggiunta di un giubbotto di pelle che tende verso quello iconico delle SS naziste. Infondo, è proprio quello il ruolo a lui ritagliato, quello del tiranno; un uomo deciso sul da farsi e sicuro dei suoi intenti, palesi e sfacciati, in contrapposizione con l’ambiguità e l’arrivismo di Jamie Dornan (Will Scarlet) la cui interpretazione sembra troppo fresca di 50 Sfumature.
L’altro Jamie, il Fox, si comporta invece assai meglio dinanzi alla telecamera, ma anche qui il suo personaggio ritrito e scuro di pelle che torna dalle crociate non è altro che un riciclaggio proveniente dalla versione del 1991. Molto meglio è invece la Lady Marion di Eve Hewson, una donna forte e tenace, che mette impegno e genio in ogni cosa che fa, i cui pensieri fulminei riescono sempre ad anticipare le idee altrui.
Insomma, il tentativo di attualizzare Robin Hood ci è sembrato fin troppo palese e smoderato; un’opera che stravizia e vuole raccontarci di temi moderni “ingrigendoli” nel passato. Avidità, politici corrotti, una Chiesa in aria di perversioni sessuali, arabi che portano tutti in testa il cartello con scritto “terrorista”, scontri epocali di scudi antisommossa e molotov, mostri ricchi che affamano il popolo povero e senza speranza, razzismo e quanto di più storicamente reiterato c’è da inserire, è tutto nel calderone di questo film. Improbabile e forse fin troppo audace, infine, è l’epilogo che lascia le porte aperte ad un seguito.