“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità“! È questo il mantra che recitava la Marvel in Spider-Man, il cui ennesimo videogame, in esclusiva PS4, è approdato sul mercato proprio in questi giorni. Ma il 7 settembre, per la Marvel, non rappresenta solo gloria videoludica, ma anche quella dell’ormai roccioso sodalizio con Netflix, questa volta di nuovo targato “ki”, l’energia che si concentra e luccica d’oro nel pugno di Iron Fist. La stessa citazione precedente, infatti, può valere anche per Danny Rand; nella seconda stagione alle prese con un potere che brucia forte dentro di lui, che sfocia nella rabbia, che troppo spesso lo spinge ad abusare delle sue abilità; ma soprattutto avversario di un amico che diventa nemico. Si, perché in città c’è un nuovo Fist!
Fist non si nasce, Fist si diventa!
Dopo le vicende della prima stagione, dopo le mirabolanti battaglie condotte contro La Mano insieme ai Defenders, e dopo il rapido crossover in Luke Cage 2, Danny Rand sembra aver trovato una sorta di stabilità sociale. Il biondo venuto dalle montagne del Tibet e, più nello specifico, dal lodabile monastero di K’un-L’un, non ha abbandonato il prestigioso ruolo che fin dalla nascita gli spettava di diritto. Danny continua ad essere il possessore del 51% delle quote della Rand, tuttavia conduce una vita semplice, forgiata nella convivenza con la sua amata Colleen e standardizzata in un lavoro da traslocatore. Eppure, il suo pugno d’acciaio e le sue doti nelle arti marziali lo costringono a vegliare su Chinatown e a tenere a freno gli scontri che serpeggiano e detonano nella Triade. Nell’ombra, però, brama qualcosa di ancor più velenoso e devastante, un’alleanza coltivata nel risentimento e nell’invidia, nella sofferenza e nella rivincita; un mix che metterà a dura prova l’Iron Fist!
Non vogliamo dirvi di più sulla trama di questa seconda stagione, spoilerare sarebbe un vero e proprio peccato. Quello che invece possiamo spifferare è che anche questo secondo atto di Iron Fist sembra avere qualcosa in meno rispetto ai colleghi Marvel/Netflix. Ci siamo dunque interrogati sul perché. Al netto di una sceneggiatura che ci pare sul livello degli altri lavori, Iron Fist si basa forse su un personaggio meno carismatico degli altri. I successi dei vari Jessica Jones (da poco abbiamo assistito alla seconda stagione), Daredevil o The Punisher, si abbeverano su storici personaggi dei fumetti che come Danny hanno un trascorso doloroso e saturo di pene. La differenza, forse, è da ricercare nel modo in cui questo trascorso viene riproposto nel presente e dagli strascichi che travasa con sé. Ci spieghiamo meglio: Matt Murdoch, ad esempio, pur essendo un buonista di fondo che fa dell’etica e della morale una sua inscindibile caratteristica, riesce a coinvolgerci empaticamente nella sua quasi perenne tristezza e sofferenza. Lo stesso possiamo dire di Jessica e dei suoi malumori affogati nell’alcol; e ancor più emblematico è l’esempio di Frank Castle, di cui anche noi abbiamo ormai compreso e forse sponsorizzato e sposato le ragioni vendicative.
Fatto salvo Luke, che ci pare un personaggio già di per sé molto caratteristico e particolare, l’Iron Fist di Finn Jones è senza dubbio il personaggio che ha riscosso meno successo. Il problema non è certo nell’interpretazione dell’attore londinese, bensì nel taglio fin troppo ingenuo dato al suo eroe. Ma non temete, perché nella seconda stagione, quello che il Fist percorrerà è un vero e proprio percorso di cambiamento e maturazione.
Il bicchiere mezzo pieno
Del bicchiere messo a tavola da Netflix, anche questa volta, vogliamo osservare la metà piena. In questa occasione, la piattaforma rosso e nera ha messo in scena solo 10 episodi, e non più i 13 che ormai eravamo abituati a gustarci; ciononostante è stato abbastanza per osservare l’arduo cammino di un nuovo e più consapevole Fist.
Gli avvenimenti condurranno Danny alla piena e matura cognizione dei suoi poteri (per ragione che non possiamo dirvi), ma sarà anche un percorso di devozione verso le persone che amiamo, quelle che ci sono vicine, quelle che sangue o non sangue fanno parte della nostra famiglia. La morale della favola, alla fine della giostra, è abbastanza semplice: tieniti strette le persone che ami, non nascondergli ciò che sei o cosa stai diventando, lascia che ti aiutino e parla con loro. Nascondere risentimenti porta solo all’annidamento del male, un male che prima o poi vomiterà cattiveria.
Sullo scenario, come sempre, un’ ingarbugliata e labirintica New York, una metropoli tanto bella e grande, quanto impietosa e meschina. La Grande Mela è ancora patria di disparità colossali, simbolo della diversità sociale ed economica di un paese, l’America, che continua paradossalmente a sbandierare pari opportunità. La società abbandona molti, troppi di noi, gonfiando le tasche e le brame di potere di pochi, lasciando che i ragazzi, senza alcun tipo di arbitrarietà, debbano semplicemente sopravvivere in un giungla senza via di scampo… salvo miracoli. Osservando la baby-gang che prende piede in questa seconda stagione vien da chiedersi se davvero alcune persone possano scegliere, o se qualcuno invece abbia già scelto per loro fin da piccoli. New York, di tutto questo, è l’assoluta emblematica regina.
Nel complesso, Iron Fist 2 riesce comunque a strappare un voto discreto, almeno per quanto ci riguarda. Forse non è il miglior prodotto del connubio Marvel/Netflix, ma se preso in solitaria e senza fare paragoni, è sufficientemente appassionante e coinvolgente. L’inserimento di nuovi protagonisti, i cambiamenti avvenuti in quelli vecchi e qualche crossover completano il quadro di uno show che si attesta sugli stessi livelli del primo palcoscenico.
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