Blumhouse, con il suo fare horror alla vecchia maniera, continua a sfornare prodotti di qualità. Anche quando si arriva al quarto capitolo, anche quando le novità non rappresentano più il fiore all’occhiello, anche quando l’originalità si è ormai consumata, la casa produttrice in dote a Jason Blum riesce a stupire. La Prima Notte del Giudizio è il prequel dei precedenti tre sanguinari atti, la sequenza addetta a raccontare come tutto ebbe inizio, come lo Sfogo prese piede nel paese “più glorioso” del mondo, come gli americani cominciarono a pensare che non avere catene e restrizioni legali di alcun tipo per una notte intera potesse davvero far risorgere la propria nazione.
Un patto con il Diavolo nasconde sempre un inganno
In un futuro distopico, i Nuovi Padri Fondatori, praticamente divenuto partito unico negli Stati Uniti, decidono di sperimentare una teoria sociologica che permette a qualsiasi cittadino di dar libero “Sfogo” a qualsiasi atto criminale (omicidio compreso) per una notte intera, senza nessuna ritorsione legale. Così facendo, il tasso criminale del paese dovrebbe scendere ad una scarnissimo 1%, riformulando gli Stati Uniti come la nazione più tranquilla del pianeta. Il macabro e folle esperimento viene condotto nell’isola di Staten Island (laddove, fate attenzione, una volta sbarcavano gli immigrati), ma non è altro che un inganno, un gioco di potere volto a secondi fini che non farà altro che mettere contro la fazione degli oppressori con quella degli emarginati, fino a veder la violenza sconfinare dai limiti previsti ed affermarsi definitivamente.
Se nel primo capitolo de La Notte del Giudizio (The Purge in inglese) avevamo fatto i conti con una sorta di variante di home invasion, se nel secondo la violenza impunita della celebre notte l’avevamo vista detonare per le strade cittadine, dal terzo capitolo in poi (Election Year) Blumhouse aveva cominciato a dimenticarsi dell’aspetto horror e soprattutto thriller della saga, premiando invece quello contestuale, messaggero e sociale. Si, perché mai, come in questa pellicola, il dibattito sulla natura di tale follia, sulla sua giustezza ed efficacia era stato più forte ed evidenziato. L’aspetto quasi religioso del terzo atto, lascia qui il posto a ciò che si nasconde dietro a tale devastante strategia; riporta alla luce soprattutto il discorso del razzismo che, se l’avevamo già riconosciuto chiaramente in altre pellicole firmate Blumhouse come Scappa – Get Out, qui è raccontato mediante un uso molto efficace di una compagine di invasori ed oppressori bianca, e una di invasi ed oppressi nera, chiamati a sopravvivere (nel vero senso della parola) esattamente come accade troppo spesso ogni giorno in quello che si conclama da solo il paese più civile e comprensivo del mondo.
Blumhouse aveva solo sfiorato la sufficienza, lo scorso mese, con Obbligo o Verità? (nulla a che vedere con pellicole come Auguri per la tua Morte), ma in questo afoso luglio riesce comunque a ritrovare immediatamente quel brio vivido e fresco. La Prima Notte del Giudizio si afferma, forse, come il miglior capitolo della saga, aspettando, ovviamente, la serie tv.
Futuro Distopico o visionario?
La domanda che Jason Blum, di fianco al regista di turno Gerard McMurray, si pongono è proprio questa. I temi raccontati da questa saga, felice intuizione di James DeMonaco (qui solo – si fa per dire – sceneggiatore e produttore), sono davvero così lontani dalla realtà? Infondo, il Sign. Blum non ha mai nascosto la sua profonda antipatia per Donald Trump, il Presidente più odiato nella storia del paese a stelle e strisce.
La Prima Notte del Giudizio, se pur in maniera estrema, vuole anche bisbigliare all’orecchio dei tanti cittadini americani che magari non siamo ancora a quei livelli, ma di certo non siamo neppure troppo lontani. La prepotenza del governo è spesso orientata al raggiungimento di fini loschi? Il governo americano, così come lo conosciamo oggi, sarebbe in grado di istituire una tale follia per placarne un’altra? Non è forse vero che gli Stati Uniti combattono la guerra con la guerra?
A tal proposito, il regista e gli scrittori mettono in piedi personaggi davvero originali, tra cui una donna tosta (Lex Scott Davis) che sbandiera l’uguaglianza (anche di importanza e contributo) del genere femminile con quello maschile; un tossico (Rotimi Paul) assetato di una nuova droga legale, il sangue (almeno per una notte); uno spacciatore che diviene eroe e salvatore (Y’Lan Noel), il cui interprete è capace di catturare l’attenzione del pubblico come poche volte avevamo visto fare in film simili; ma soprattutto vediamo il carnefice che si nasconde quasi sempre dietro una maschera (da elogiare il lavoro scenografico) e una preda che specchiandosi può solamente riconoscersi.
Insomma, il lavoro svolto davanti e dietro la telecamera da Blum e la sua compagnia è assolutamente da premiare; un mix perfetto tra vecchia scuola e nuova linfa, in un racconto in cui i mali del passato sono ancora fulgidi e vivi, virus che non si riesce a debellare, e che, al contrario, sembrano acquistare sempre più vigore in una società dove le regole sono per gli “stupidi” (che ancora a noi piace definire onesti).
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Buona Visione!