I miliardi investiti dalla Disney sul mito fantascientifico plasmato da George Lucas nel lontano 1977, al di là degli incassi al botteghino spesso dovuti più alla curiosità e alle aspettative che all’effettiva conquista, non riesce proprio a brillare come vorrebbe. Al netto di un risultato accettabile con J.J. Abrams alla direzione di Star Wars: Il Risveglio della Forza, e Gareth Edwars al timone dello spin-off di Rogue One, Star Wars: Gli Ultimi Jedi e anche questa origin story dedicata a Han Solo deludono, se pur in maniera diversa, il bagaglio di speranza che ogni spettatore porta con sé all’ingresso nella sala cinematografica. Solo: A Star Wars Story è un film spettacolare, pieno di azione, eppure spoglio di entusiasmo e capacità attrattiva, forse timoroso dell’epicità e della leggenda che era chiamato a raccontare.
Un eroe furfante
Mentre l’Impero avanza a suon di prepotenza, il giovane Han è spensierato, ancora troppo acerbo per occuparsi di cause così importanti. Il suo sogno è solo quello di pilotare una nave spaziale, mano per mano con Qi’ra, la sua amata. Quando sei giovane pensi di poter spaccare il mondo, di poter valicare ogni muro, ed è per questo che Han ci mette coraggio, passione e carattere. Purtroppo, tutte queste qualità non bastano, perché durante una fuga è costretto a separarsi dalla sua adorata, e quindi si arruola come pilota con la promessa di tornare a prenderla. Disertore, ladro e contrabbandiere, Han imparerà a crescere, a non fidarsi di nessuno, vince a carte il Millennium Falcon e fa la lieta conoscenza del wookiee Chewbecca.
Dal primo spin-off di Rogue One avevamo intuito che lavorare sul mito senza l’obbligo di portarlo avanti, come invece accade per gli episodi della saga principale, era una pratica forse più semplice. Lo è però soltanto se ci metti passione, se rispetti le regole della leggenda, ma se imprimi emozioni alle immagini. Quelle di Solo: A Star Wars Story, invece, sono sequenze sì spettacolari e adrenaliniche, ma anche troppo schematiche, quasi come se Howard e i suoi sceneggiatori si fossero limitati a fare il compitino senza aggiungere incognite all’equazione.
La sfrontatezza dello Han Solo che conosciamo, quello interpretato in maniera magistrale e del tutto naturale dal grande Harrison Ford, appare in Alden Ehrenreich un po’ troppo artificiosa, costruita, imitata. L’attore californiano fa del suo meglio, ma le espressioni furfanti, quel sorriso ammiccante e donnaiolo tipico di Solo ci sembrano sempre un po’ troppo esasperate e quindi, tra virgolette, “falsificate”. Di certo, la sceneggiatura non aiuta il cast a fare il proprio dovere, rendendo un film che dovrebbe avere dell’epico e dell’eroico, solo un normale blockbuster di scarsa originalità. Religiosamente rispettoso dell’eredità e della storia del personaggio che racconta, Solo si scolarizza lasciandoci poche emozioni, entusiasmando ai limiti della sufficienza, passando per cliché quali gli inseguimenti d’auto, guerre di trincee e assalti ai treni, ma non riuscendo mai a lasciarci in bocca il vero sapore avventuriero del personaggio.
Molto più genuine, ma in verità anche deresponsabilizzate, invece sono le interpretazioni di Woody Harrelson che incarna una sorta di mentore di Han, quella di Donald Glover nei panni di Carlissian e quella di Thandie Newton in Val (che siamo recentemente abituati a vedere nella serie tv di Westworld).
Vivere, morire o…?
Nel caso di Star Wars, e ci riferiamo al post Disney, la domanda è proprio questa e, come vedete, alle due classiche opzioni sembra aggiungersene una terza. È indiscusso il fatto che far leva su un mito come Star Wars porti una continua pioggia di soldi, che ruscellano instancabili ad ogni nuova pellicola. È anche vero il fatto, però, che il pubblico, specie quello affezionato e nostalgico, comincia forse a non comprendere a pieno la natura di questo progetto infinito e perpetuo.
La ridondanza del mito, le catene della leggenda che è stata la prima trilogia, e forse anche la seconda, sembrano, per volere della casa titolare ora dei diritti, mollare la presa, lasciar spazio a qualcosa di nuovo; qualcosa che il pubblico deve accettare, l’evoluzione di una storia che ha segnato il cinema e la fantascienza più in generale. Il punto è che se nemmeno gli spin-off (e ci riferiamo a Solo, perché infondo Rogue One ci era piaciuto), che avrebbero semplicemente il compito di sviluppare storie parallele a quelle che già conoscevamo (in questo caso, ad esempio, ci piazziamo dopo La Vendetta dei Sith e undici anni prima degli eventi di Una Nuova Speranza) non riescono a trovare allori e consensi unanimi, allora qualche domanda sul futuro della saga forse sarebbe il caso di farsela.
Una lotta perpetua e antitetica quella che impazza tra chi vuole che Star Wars continui a vivere, accettando il compromesso di nuove storie, nuovi personaggi e nuovi contesti; e chi invece accetterebbe la tomba e si crogiolerebbe nel ricordo e nella rimembranza. La Disney, invece, sembra aver scelto una terza strada, quella della sopravvivenza, quella che incarta e conserva il passato, tenta di mettere in tavola qualcosa di nuovo, ma ha troppa paura di installare ingredienti freschi e novelli, e quindi ne esce fuori un piatto quasi ibrido e dal sapore non ben identificato.
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Buona Visione!