Electronic Arts mette finalmente sugli scaffali A Way Out, il videogioco multiplayer basato sullo split screen co-op, scritto e diretto da Josef Fares, il regista libanese già autore, nel campo videoludico, del buonissimo Brothers: A Tale of Two Sons. L’idea di fondo è davvero originale, perché non è certo comune vedere uno schermo diviso a metà, dove due protagonisti vengono guidati dalle mani sui joypad di due giocatori diversi, nel medesimo istante, indaffarati in azioni dissonanti ma coadiuvanti. Alla fine dei conti, il gioco disponibile per PC, PlayStation 4 ed Xbox One, risulta essere un buon prodotto, al netto però dei suoi evidenti limiti videoludici, che lo costringono troppo spesso ad assomigliare più a un film che a un videogioco, con picchi d’azione ed interazione che si palesano solo nelle scene più caotiche e adrenaliniche, banalizzandosi e semplificandosi in quelle di assestamento e calma, e risorgendo con un ottimo colpo di coda nelle fasi finali.
Due storie, un unico destino
I due protagonisti delle vicende sono Leo e Vincent, due uomini i cui destini si sono intersecati ed accavallati, fino a giungere a bordo di un ultraleggero, mentre ricordano i vecchi tempi, i loro albori e i loro esordi in un treno pieno di vagoni flashback che vivremo in prima persona. Leo è un personaggio molto impulsivo, sempre pronto a risolvere le questioni prendendole di petto, con la forza, senza pensare troppo alle conseguenze; Vincent è un uomo molto più calmo, riflessivo e ponderato. Le caratteristiche agli antipodi di questa coppia di galeotti però, li renderanno una squadra pressoché perfetta, non senza inciampi, non senza problemi, ma con ottimi epiloghi; infondo le loro storie erano in qualche modo legate sin dall’inizio, con due antefatti a cui si legano, in maniera difforme, le loro famiglie e un losco uomo.
Era poi cosa risaputa, ma è comunque bene sottolinearla, A Way Out non può essere assolutamente giocato in single player. Non c’è modo infatti di lasciare all’intelligenza artificiale le redini di uno dei due personaggi; le vicende andranno portate avanti solo se giocate in due, magari tra amici, in locale o in cooperativa online. Saranno sette, all’incirca, le ore che occorreranno per tagliare il nastro finale, un finale che avrà due alternative previste.
Al di là della trama, interessante ma troppe volte vista e rivista sia nel campo videoludico che in quello cinematografico, il fulcro del gioco si basa sulla modalità co-op. La narrazione ci è sembrata alquanto lineare, forse perfino troppo per essere una creatura interattiva, ma sostanzialmente coinvolgente, se pur non in maniera eterogenea. Ci spieghiamo meglio… A Way Out si può suddividere in due grandi parti: la prima è quella del carcere, un po’ compassata, lenta, molto cinematografica, dedita alla presentazione dei personaggi e alle loro caratteristiche, a tratti molto semplificata dall’uso di un solo tasto per sciogliere il nodo della questione, con tanti dialoghi e video. La seconda parte, quella post evasione, è una caccia all’uomo, decisamente più ritmata, adrenalinica, ma anch’essa assai schematica e posata su binari ben precisi da cui non si può uscire. Il tutto viene poi premiato da un finale scoppiettante e sorprendente.
Lo spleet screen funziona decisamente bene, ci permette davvero di avere libertà di movimento e azione, ma sempre subordinandosi alla trama, alle vicende, al contesto e quella gabbia ristretta di azioni da poter compiere in un determinato luogo. L’impatto grafico è assai buono, considerato anche il fatto che il budget a disposizione di Hazelight Studios (lo sviluppatore) era di quelli ristretti; impatto che perde un po’ di nitidezza quando lo schermo si dilata e viene tagliato in due, ma riacquista decisione e precisione quando invece tende a riunirsi. È fondamentalmente per questo che i virtuosismi registici di Fares si esibiscono quasi sempre a schermo intero.
L’importanza della co-op
Non servono molte altre parole per raccontarvi di A Way Out, ma di sicuro va sottolineata l’importanza strategica della modalità co-op. Come già ampiamente descritto, siamo di fronte ad un gioco la cui narrazione è lucida ed interessante, ma non esattamente originale; con una scarsa dinamicità di gameplay che spicca il volo solo in alcune fasi (specie negli inseguimenti e nei conflitti a fuoco).
Tuttavia, l’idea della co-op partorita dallo sviluppatore e messa in scena con grande garbo registico da Fares, è un po’ come un atto rivoluzionario che tenta di echeggiare in un mondo moderno di individualismo ed egocentrismo. Se è vero infatti che moltissimi videogiochi, al giorno d’oggi, incentrano le loro glorie economiche ed artistiche nell’online, e quindi inevitabilmente nella condivisione di uno spazio virtuale e nella cooperazione tra player; è vero anche che quasi tutti lo fanno in maniera, se così si può dire, indiretta. Scegli un personaggio, e ti butti nella mischia, ma non per il bene di una squadra, troppo spesso per il bene cinico e personale di arricchire il proprio avatar e migliorarlo.
A Way Out invece costringe i due giocatori a collaborare, a fare squadra (quella vera), l’unico modo per risolvere le ingarbugliate questioni ed andar avanti con le vicende. I due personaggi dovranno necessariamente collaborare, confrontarsi, unire le forze con un obiettivo comune ed univoco.
Nel complesso, non stiamo certo parlando di un capolavoro videoludico, un prodotto che poteva certamente essere perfezionato e migliorato, un po’ troppo lento e tedioso, solo a tratti entusiasmante, eppure coinvolgente e caratteristico. Una sola via d’uscita da imboccare in due, questo è A Way Out!
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Buon Game!