L’abbandono di Warner Bros nella produzione, e quello di Guillermo del Toro alla regia (impegnato nella realizzazione di La Forma dell’Acqua che gli è valso poi diversi Oscar), hanno lasciato le redini del secondo capitolo di Pacific Rim interamente a Legendary Pictures, che si è avvalsa comunque di corposi investimenti da parte di Universal Pictures. La Rivolta (Uprising nel titolo originale) è quindi stato affidato all’esordiente Steven S. DeKnight che, al netto di straordinari effetti speciali e qualche variazione scenografica, è riuscito a montare una pellicola senza vitalità, senza anima, tenuta in piedi solo dall’interpretazione di John Boyega, fin troppo sprecato in un personaggio davvero banale.
Robot contro robot… e qualche mostro!
Jake, il figlio d’arte dell’eroico Staker Pentecost, non assomiglia per niente a suo padre. Dopo aver abbandonato le postazioni di pilota dei mastodontici jaeger, si è lasciato andare ad una vita all’avventura, costellata da piccoli furti e truffe. Per colpa di una ragazzina, il giovane uomo di colore finisce nei guai, e viene quindi costretto, per tirarsene fuori, ad accettare un corso di addestramento per nuovi piloti. Tutto questo non è altro che il preludio ad una guerra di jaeger contro jaeger, robot pilotati in remoto e propulsori a base di sangue di kaiju, gli stessi che interverranno, più cattivi che mai, in una battaglia casalinga.
L’idea di fondo non sarebbe neanche male, se non fosse che, come ampiamente anticipato nell’incipit di questa recensione, il film fa acqua praticamente da tutte le parti. Più che un sequel, di cui si riconosce solo la cronologia e qualche flebile e scarno riferimento agli eroi della pellicola del 2013 diretta da Guillermo del Toro, La Rivolta ci è parso una sorta di reboot, infilato in un vestito narrativo leggermente diverso, ma con personaggi completamente nuovi e, diciamocelo, privi quasi interamente di appeal.
John Boyega è chiamato ad interpretare Jake Pentecost, e la sua buona riuscita davanti alla telecamera è dovuta quasi esclusivamente al suo talento, di certo non premiato da un personaggio visto e rivisto, il classico spocchioso dalle potenzialità sconfinate, che vive un percorso di redenzione quando doveri più grandi gli impongono di crescere e mettere in mostra tutte le sue capacità. Scott Eastwood, il co-protagonista, invece, non pervenuto! Se nel primo atto però, Guillermo del Toro si era impegnato per portare sullo schermo anche l’importanza della multiculturalità in un clima in cui mostri mastodontici come i kaiju demolivano intere città, in questo secondo capitolo è solo il colore della pelle del protagonista a svolgere tale ruolo, un pilota americano che vede sventolare dai suoi colleghi solo altre bandiere a stelle strisce.
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Sulle ali dell’entusiasmo
Il cambio geografico di location è forse l’unico atto che ci permette di ammirare una pellicola non solamente “americana”, visto che il regista sposta parte delle vicende in quel di Tokyo, un passaggio quasi obbligato visto gli investimenti che diverse società nipponiche hanno fatto nel film. E poi ci sono loro, i jaeger e i kaiju; bellissimi mostri grafici da ammirare, enormi lattine tecnologiche, alternate a creature mitologiche della fantascienza giapponese, che si abbattono furiosi sulle città, durante il giorno, nel gelo della neve, e non più nella profondità di una notte piovosa.
Il bello è che questa volta i nostri pachidermici amici demoliscono i palazzi come se fossero fatti di polistirolo, con una resistenza praticamente pari a zero; fattore assai poco credibile visto che le vicende veleggiano in un contesto storico dove l’umanità conosce ormai da anni la violenza e la potenza di queste creature.
Insomma, Pacific Rim – La Rivolta ci è sembrato un tentativo di imitare tante altre pellicole: ovviamente il primo atto del 2013 , il più attempato Godzilla, e perfino i Transformers (specie il recentissimo L’Ultimo Cavaliere); tutto senza un minimo di originalità, con una sceneggiatura anemica, asfittica, quasi insulsa. A giudicare dal finale poi, il minestrone in cui annaspa Steven S. DeKnight, pensate un po’, potrebbe perfino proseguire a cuocere, sperando che la prossima volta, però, si arricchisca di ingredienti e di un chef un po’ più maturo ed esperto.
Sulle ali dell’entusiasmo si è quindi dato vita ad un film troppo nuovo e comunque privo di sapore, come se si fosse dimenticato che forse sarebbe stato più semplice seguire la scia lasciata da del Toro (nonostante quello del 2013 non fosse certo stato il suo miglior lavoro), invece che tentare di conservarne ed esibirne solo il nome in locandina per attirare il pubblico in sala.
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Buona Visione!