Dopo quattro stagioni, la serie televisiva di The Strain ha tagliato il nastro di arrivo. Il pluripremiato agli Oscar 2018 Guillermo del Toro può ritenersi soddisfatto del prodotto, anche se, bisogna ammetterlo, per come lo show aveva albeggiato e per le prospettive che aveva promesso, ci si poteva aspettare di meglio. Come ormai saprete, il clamore di queste oscure vicende, prima ancora di divenire un prodotto televisivo, aveva brillato nelle pagine della trilogia su carta che gli stessi del Toro e Hogan scrissero ormai qualche anno fa. L’ultimo atto della serie, il primo vero post-apocalittico, non è stato uno scintillio di qualità, piuttosto un modo abbastanza semplice e moderato di giungere dolcemente alla fine, con una battaglia finale fatta di sacrifici e sopravvissuti, con un impatto emotivo annunciato, ma pochi fuochi d’artificio. Vogliamo specificare che il voto in calce che daremo a questa produzione, non è da intendere solo alla quarta stagione, bensì a tutto lo show.
Niente gloria per Il Padrone
Alla fine dei conti, i loschi piani del Padrone sono detonati insieme al brillare di una bomba atomica, una testata che, oltre a echeggiare prepotente nell’aria, ha urlato tutta la voglia di vivere umana, ha ululato al cielo l’amore, l’unico vero vincitore di questa trincea tra bene e male. Nessun nuovo inizio è indolore, e anche in The Strain le macerie finali sono il preludio di una rinascita, quella della razza umana, che avrà bisogno di ravvedersi e cambiare tutti quegli aspetti negativi che la caratterizzano, le vere piaghe di un mondo su cui ha gongolato e di cui si è approfittato Il Padrone.
Le prime stagioni della serie sono state decisamente più affascinanti e misteriose. Il diffondersi lento e meschino dell’epidemia “vampira” sono state forse le fasi più coinvolgenti della storia. Con il passare degli episodi abbiamo cominciato a conoscere i protagonisti di queste vicende, ad apprezzarli, scrutarli, sbirciare i loro segreti, il loro passato e perfino ad affezionarci tramite la buona riuscita di sapienti flashback distribuiti a dovere. Le prime tre stagioni hanno rappresentato il male che, nel buio, strisciava e scansava il bene, l’oscurità che prendeva il posto della luce. L’ultimo capitolo, invece, è stato la dimora post-apocalittica di un mondo devastato, ormai preda degli stregoi, governato dall’ira sagace ed egemone del Padrone e del suo fido Eichorst.
In questa gabbia di terrore e sottomissione, l’unica cosa che ha veramente vinto, esattamente come enunciato proprio negli ultimi secondi del decimo ed ultimo episodio della quarta stagione, è l’amore. L’amore dell’uomo verso la vita, verso la sopravvivenza della propria specie, l’amore di Vasily e Dutch, il sogno d’amore di Gus verso una ragazza che vuole assolutamente incontrare di nuovo, l’amore e il rispetto di un Setrakian che ha combattuto una vita il male oscuro e marcio per un bene comune, e che alla fine è riuscito perfino a riprendersi la sua vendetta sull’ex nazista; ed infine l’amore di un padre per il figlio e di un figlio per il padre, entrambi protagonisti di un duplice sacrificio spalmato nell’atto più atteso di tutta la serie, un abbraccio finale che ha definitivamente sconfitto il demone pallido e vermiglio.
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Cosa si e cosa no
Possiamo finalmente tirare le somme di una serie che ha cercato di bagnarsi nell’horror, e ogni tanto ci è anche riuscita, ma che per lunghi tratti ha abbracciato la scienza, l’emblema del tentativo disperato di dare una spiegazione logica al male, caratteristica peculiare umana.
Al netto di una sceneggiatura non sempre riuscita, a tratti banale, che ha trovato gloria nelle prime due stagione e si è andata invece arenando e perdendo brio nelle ultime due, il risultato complessivo è stato, secondo noi, ampiamente sufficiente. Buona è stata, ad esempio, la caratterizzazione dei personaggi, vuoi quelli dalla parte dei buoni, vuoi quelli dalla parte dei cattivi. Nessun personaggio ha mai dato l’impressione di assomigliare ad un altro, rendendosi così immediatamente distinguibile e più facile da ammirare e valutare. Il nostro preferito, e sospettiamo sia il prediletto anche da tanti altri seguaci di The Strain, è stato forse l’anzianità, la saggezza e la scontrosità di Abraham Setrakian, cosa non comune in un mondo televisivo e cinematografico che predilige giovinezza e prosperosità.
La storia del vecchio Setrakian è una di quelle strappa lacrime, lacerata dal dolore, dall’olocausto di una guerra, la seconda mondiale, umana, figlia dell’odio razziale e della fame di potere insito nella nostra natura. La sua lotta personale con il perfido Thomas Eichorst ha a tratti oscurato perfino il totalitarismo del Padrone. Il nazista in questione aveva abbandonato l’idea folle di un dittatore per abbracciare quella di un altro egocentrico, stavolta eterno. I due personaggi, quello di Abraham e quello di Thomas, incarnano alla perfezione le due facce dell’umanità: l’altruista e l’egoista.
Se guardiamo bene, infondo, The Strain non è altro che l’allegoria di qualcosa di tossico che scorre nelle nostre vene. Quale è la differenza tra un arrivista come Palmer e un demone maligno come Il Padrone? Non è certo un caso che il boss di questa specie molto particolare di vampiri abbia scelto proprio il corpo del miliardario newyorkese come ospite. L’ascesa al potere del male corrisponde esattamente all’inefficienza del bene, è favorita dal nostro individualismo sfrenato e dal nostro egoismo; ma gli ultimi episodi della serie, invece, allungano la mano verso la speranza, la speranza che la parte buona della nostra umanità sbocci e cacci via le tenebre.
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Buona Visione!