Michael Cuesta, dopo numerosi cambi di rotta, viene finalmente scelto come direttore d’orchestra definitivo di American Assassin, il film tratto dall’omonimo romanzo di Vince Flynn; un viaggio all’interno della vendetta come missione di vita, passando per i problemi interni ed internazionali che stritolano il Governo americano e le sue politiche estere e belliche, nonché un tuffo nell’abbandono di uomini trasformati in macchine da guerra e poi lasciati a loro stessi. Al netto di una sceneggiatura non sorprendente, ma del tutto sufficiente, la pellicola viene abbellita dall’ottima presenza davanti all’obiettivo di quel Michael Keaton che riesce a rubare la scena persino al protagonista principe delle vicende, il giovane attore Dylan O’Brian, il cui talento è ancora un pizzico acerbo e inespressivo.
“Niente deve diventare una questione personale“
Mitch Rapp è solo un ragazzo di 25 anni, con una splendida fidanzata che ama alla follia. Il destino vuole che proprio il giorno in cui il giovane le chiede di sposarlo, la ragazza viene colpita a morte da un gruppo di terroristi islamici decisi a prendere vite innocenti in nome del loro credo. Mitch, accecato dalla rabbia, fa della sua vendetta l’unico desiderio e ragione di vita; di conseguenza impara la lingua araba e si intrufola in una cellula terroristica. La CIA nota il lavoro grezzo, free lance, ma comunque efficace di Mitch, e decide quindi di assoldarlo per proprio conto, affiancandolo al mentore perfetto, quel Stan Hurley, veterano della Guerra Fredda, che trasformerà Mitch in un vero e proprio killer di professione.
I temi trattati tanto dal romanzo quanto dal film sono numerosi e assai evidenti ed attuali. Il primo fra tutti è quello che si palesa nell’antefatto. L’attentato imprevedibile che falcia vite indifese ed innocenti è alla base della questione. Il rancore dei terroristi viene trasferito in quello dei sopravvissuti, nonché parenti o affetti dei caduti, giusto per ricordare che la rabbia è portatrice solo di altra rabbia. Quella che, nella fattispecie, detona nel nostro Mitch Rapp, un giovane uomo che trasuda brama di vendetta da ogni poro; ma non abbastanza da assomigliare al recentissimo Frank Castle della serie tv Netflix The Punisher, in quanto il suo attore, il già citato Dylan O’Brian, è solo ai primi vagiti in quel di Hollywood, e non ancora capace di esprimere, attraverso il suo bel visino da teenager, tutte le emozioni che il personaggio meriterebbe di mettere in vetrina.
L’altro tema è quello dell’abbandono, e qui entrano in scena la CIA, l’America e il mentore della situazione. Troppe volte, purtroppo, gli Stati Uniti hanno spedito i loro figli nelle trincee da loro stessi create, troppe volte hanno trasformato dei semplici ragazzi in obbedienti soldati, e poi i soldati in macchine da guerra trita tutto, assassini professionisti senza dignità né ideali, se non quelli posti a giustificare gli ordini che ricevono. Gli Stati Uniti sono bravissimi in tutto questo, ma non altrettanto nell’andare a recuperare le loro creazioni che, una volta terminata la loro utilità, vengono spesso abbandonate a loro stesse, ai loro incubi, alla loro logica a volte confusa e distorta, perché non più indirizzata da comandi precisi.
Uno splendido Michael Keaton (ultimamente simbolo e protagonista di una seconda, sfavillante carriera) incornicia il personaggio del mentore Stan Hurley e, dopo aver dato lustro con la sua presenza ad una pellicola cinecomic come Spider Man: Homecoming, riesce ad abbellire, addobbare e migliorare perfino American Assassin. “Niente deve diventare una questione personale” dice al suo adepto, ma niente riesce a distogliere Rapp dal suo vero, unico obiettivo: la vendetta a tutti i costi.
Sulle ali dell’entusiasmo
Nonostante il film venga infiorettato da una sceneggiatura di assoluto valore, premiata dalle firme illustri di Edward Zwick-Marshall e Herskovitz, nonostante una trama e una profondità narrativa interessante e coinvolgente, si inciampa purtroppo sulla poca insistenza. Ci spieghiamo meglio.
American Assassin tratta tutti i temi che abbiamo elencato nel paragrafo precedente; purtroppo, per farli luccicare, sarebbe stato necessario insistere un po’ di più su una struttura che premiasse il messaggio più che gli occhi. Invece, il regista newyorkese cade un po’ nel tranello del caso, si lascia ingolosire da sequenze ad alto dosaggio di adrenalina, in piogge di proiettili portatrici di fiumi di sangue, torture e fuochi d’artificio delle bombe che riecheggiano nell’aria (ma anche nell’acqua!).
Il risultato è senza ombra di dubbio piacevole per uno spettatore amante dell’action, ma forse si estranea un po’ dalle vere tematiche che vuole comunicare, da quelle raccontate nel romanzo; andando, in finale, a lasciare un po’ ingloriose le personalità dei due protagonisti, che invece avrebbero meritato un approfondimento maggiore.
Alla fine, poco importa se Chris Hemsworth (recentemente ancora nei panni di un Dio, in Thor: Ragnarok) abbia gentilmente declinato 10 milioni di dollari per vestire i panni di Rapp, perché, nonostante qualche imperfezione, American Assassin è una pellicola assolutamente piacevole, da preferire sul grande schermo perché imbandita di effetti speciali e sequenze funamboliche, del tutto apprezzabile anche per l’eredità sotto le righe che ci vuole lasciare.
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Buona Visione!