Solo tre anni fa, Stephen King scriveva di Mr. Mercedes, l’insidioso killer che, con una Mercedes SL 500, aveva sradicato dalla vita decine di persone in fila per un posto di lavoro. David E. Kelley ha quindi deciso di crearci sopra una serie tv, un’avvincente battaglia tra poliziotto e assassino, tra bene e male, vecchio e nuovo, bontà e follia. La caccia del detective in pensione, Bill Hodges, al suo antagonista sociopatico, Brady Hartsfield, è una di quelle in cui i ruoli si sono invertiti spesso, dove non è così scontato individuare chi sia il vero cacciatore e chi la preda. Ma se questo non bastasse, la sceneggiatura e la recitazione contribuiscono corposamente a rendere lo show di grande livello, ad impreziosire una trama già di per sé appassionante e convincente, che avrà un suo seguito in una già confermata seconda stagione.
La verità è oscurità
“La verità è oscurità” afferma Brady nel video del finto addio al mondo e alla vita, quello che avrebbe dovuto garantirgli l’assoluto anonimato per il suo ultimo capolavoro. Prima di piombare in quel buco corvino, infatti, Brady vorrebbe lasciare un’impronta indelebile nella storia, superiore a quella che aveva impresso a bordo di quella maledetta Mercedes SL 500 rubata. Quella di Brady è stata una crociata per l’autoaffermazione di dieci episodi, una rivincita verso una società tutt’altro che meritocratica, bagnata dalla follia che fin dall’infanzia aveva invaso la sua testa.
La guerra a distanza tra Hodges e Hartsfield si è sviluppata nell’ombra. L’ombra di un killer senza nome, e di un ex poliziotto ormai considerato solo un alcolizzato e per questo ignorato a lungo dai suoi ex colleghi. Poteva sembrare una storia come tante, senza particolari idee geniali ed innovative, ma il comparto sceneggiatura e quello recitativo hanno davvero dato lustro alla parte narrativa. Onestamente, ci rimane difficile incoronare chi degli interpreti abbia meglio reso davanti all’obbiettivo, ci è difficile anche individuare un anello debole. Brendan Gleeson è uno straordinario Bill Hodges, tanto quanto Harry Treadaway nei panni di Brady Hartsfield. Benissimo anche Kelly Linch (Deborah Hartsfield) e Justine Lupe a cui era affidato l’arduo compito di interpretare la picchiata Holly Gibney. In generale, la caratterizzazione dei personaggi è minuziosa, attenta, molto curata, una freccia in più alla già ricca faretra di Kelley.
Ci siamo poi innamorati della sigla iniziale, quella che tintinna sulle note di un vecchio giradischi, su cui albeggia, pronto per una nuova giornata, il nostro amato Bill. Anche il comparto musicale contribuisce ad innalzare il valore dello show. Le tracce scelte sono molto assennate e peculiari; spesso legate alla personalità del personaggio che vediamo apparire sullo schermo, oppure sintonizzate con l’emozione e il momento che vogliono descrivere, come il delirio finale di Brady prima che venga definitivamente messo knock out.
Interessante è anche la contrapposizione del vecchio e del nuovo, incarnati ovviamente da Bill e Brady. Bill è un uomo alla vecchia maniera, un poliziotto alla vecchia maniera, che ascolta musica vecchia da un vecchio giradischi, che afferra la bottiglia di whisky per affogare i suoi problemi. Brady è invece figlio della tecnologia, un killer che costruisce perfino un’attrezzatura capace di cambiare il colore dei semafori e di aprire e chiudere le auto; il cui covo è una giungla di computer. Brady è ora in manette, solo figurate per via del suo stato vegetativo in quella stanza di ospedale; ma possiamo già immaginare che il coma non durerà ancora a lungo, che torneremo presto ad ammirare sul ring un’altra favolosa sfida tra due stili di combattimento opposti, ma entrambi assai efficaci.
Stephen King e la tv
I successi del grande King con la penna si sono spesso riproposti, anche in maniera più sonora, sul piccolo schermo. La miniserie in due parti di IT del 1990 (aspettando il film ormai alle porte) ne è sicuramente il più fulgido esempio, tanto quanto Rose Red e 22.11.63.
Mr. Mercedes possiamo tranquillamente incasellarlo tra le trasposizioni riuscite, cosa che invece non possiamo fare con la recentissima serie tv La Nebbia o Under The Dome, che invece, pur non toccando cime astrali, non è stata poi tutta questa catastrofe.
Di recente, King ha annunciato la collaborazione con il celebre regista J.J. Abrams, per una serie televisiva ispirata ai suoi libri e i suoi racconti ambientati nella fittizia cittadina di Castle Rock, progetto interessante e seducente, considerati i nomi altisonanti dello scrittore e del timoniere.
Non sempre, purtroppo, la penna di Stephen è stata riprodotta in tv o al cinema con efficacia. Normalmente ci troviamo sempre di fronte a flop incredibili o a top straordinari. Davvero difficile capirne il perché. Forse quest’altalena di risultati può essere ricondotta alla qualità del regista, degli sceneggiatori, alla difficoltà e all’adattabilità del romanzo, ad alcune scelte assennate, altre meno geniali. In generale, plasmare un best-seller in immagini è un processo complicato e irto di difficoltà; ne sa qualcosa Alfredson che con il suo L’uomo di Neve non è proprio riuscito a coinvolgerci.
Ovviamente, l’attesa ormai è concentrata tutta su IT, e su quel Pennywise che ha terrorizzato generazioni intere di bambini e non solo negli anni novanta. Staremo a vedere.
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Buona Visione!