In un articolo di qualche settimana fa, avevamo commentato il pilot di The Sinner, la serie tv antologica ideata da Derek Simonds ed interpretata magistralmente da due attori di lusso, provenienti dal grande schermo: la bellissima Jessica Biel e il geniale Bill Pullman. Se state leggendo questa recensione, conoscete già l’antefatto. La vicenda che ci si è posta davanti era risultata essere immediatamente nebbiosa, indecifrabile, un puzzle inspiegabile. Ma ad ogni punto interrogativo corrisponde una risposta. Lentamente, la tela dei fatti si è andata ricucendo, attraverso l’impegno mai pago del detective Ambrose e le sconnesse reminescenze di Cora Tanetti, pian piano sempre più lucide, pian paino sempre più complete. E allora: come mai una semplice donna, madre di famiglia, nella tranquillità di una spiaggia insieme alla famiglia, si alza di scatto, afferra un coltello e ferisce a morte un ragazzo sconosciuto?
L’ingenuità e l’estremismo dell’ignoranza
La prima parte di questo responso allo show televisivo di The Sinner vogliamo dedicarla all’ignoranza e alla cecità che si crea quando si ha occhi ed orecchie per credere in una singola fede, in un’unica verità. Badate bene, ciò che segue non è e non vuole essere una critica alla religione, bensì un atto dovuto, raccontato nella serie tv da Simonds con parsimonia ma con efficacia, un modo per affermare che forse, non esiste una sola verità, un mezzo per bocciare qualsiasi tipo di estremismo, perché spesso, ciò che è estremo è anche malato e marcio.
Nella vita non è tutto bianco o tutto nero. Esistono le sfumature, esistono i colori, e quelli che tingono la famiglia di Cora sono funesti, a tratti deliranti. La malattia della piccola Phoebe viene stigmatizzata e soprattutto affibbiata all’innocente colpa di Cora, come se la sua buona salute avesse tolto linfa e salute alla sorella. I due genitori, specie la madre delle ragazze, crede fermamente che l’esistenza della sua figlia minore sia legata e dipendente dalle preghiere fatte al Signore, e tutti devono rimanere candidi, peccare il meno possibile, continuare a pregare come se non ci fosse un domani, come se il mondo fosse sull’orlo di un’apocalisse, altrimenti l’ira dell’Altissimo si rifarà sulla vita di Phoebe. Anche il più religioso capisce rapidamente che quello che si consuma all’interno di quelle mura famigliari è un vero e proprio delirio di ignoranza, un estremismo che invece di aiutare, nuoce alla vita delle due sorelle, tra le altre cose molto unite e rocciose.
È proprio l’aria viziata e malsana, oltre che incolore e brulicante di follia, che porta Cora a fuggire, a trovare ingenuamente una via di uscita in JD, il bastardo di turno che approfitta della situazione e della scarsa conoscenza della vita che Cora ha, per trarne dei benefici, per cambiare fidanzata come se fosse un giocattolo, per fare di lei un semplice burattino senza fili. È sempre quell’aria malata e puritana, accoppiata all’invidia e al semplice e naturale desiderio di vivere prima di morire, che porta Phoebe, una bella sera, a seguire Cora nelle sue avventure mondane. Phoebe non vuole sentirsi un peso per Cora, non vuole essere una metallica cavigliera che impedisce alla sorella di spiccare il volo; anzi vuole essere complice, all’altezza della situazione, ma soprattutto vuole sentirsi viva, vuole respirare quella vita che mai aveva potuto far entrare nei polmoni, quell’esistenza che aveva potuto solo sbirciare attraverso le tende della sua cameretta, lo schermo di un computer o i racconti di Cora.
Ed ecco quindi che Phoebe, in una sola sera, stringe la mano all’anfetamina, ma strizza l’occhio anche all’amore e al sesso. È proprio questo cocktail a risultare letale alla piccola ragazza, per la disperazione di Cora, oggetto e banale vittima della situazione, poi ancora costretta a dimenticare quanto accaduto nelle stanze di quel facoltoso club! Anche la fede, se estremizzata, può quindi nuocere e demolire, la storia lo insegna, gli atti terroristici quotidianamente riportati sui giornali e sui telegiornali lo insegnano e , in qualche modo, anche The Sinner fa la sua parte.
Un lavoro di grande fattura
Archiviata questa riflessione che abbiamo coltivato e visto fiorire all’interno degli 8 episodi dello show, passiamo a cose più pratiche e spieghiamo perché The Sinner, secondo il nostro parere, è un prodotto di qualità molto alta.
Per problemi tecnici, l’ultimo episodio di The Sinner l’abbiamo visto con l’aggiunta dello speaker che, per i non vedenti, descrive la scena prima che gli attori possano esprimersi. All’inizio eravamo un po’ scocciati, ma poi quell’inconveniente ci ha fatto confermare quello che avevamo già notato nei sette capitoli precedenti. La sceneggiatura dello show è davvero straordinaria: sa alternare bene i silenzi e le scene non parlate ai dialoghi fitti, ma mai lunghi, mai noiosi, sempre puntuali ed incisivi. Gli sceneggiatori dipingono bene le vicende intingendole nel mistero più assoluto, che non ha bisogno del buio della scenografia per risultare oscuro e criptico, ma si serve delle musiche, di quella canzone che in Cora fa scattare la follia omicida, usa giochi cromatici fatti di luci brillanti ed ambrate, di stanze caratteristiche, che si distinguono per una semplice carta da parati, una sedia, un divano, un letto; si lascia accompagnare da una fotografia classica, ma tremendamente efficace.
Se a questo aggiungiamo le esibizioni di Jessica Biel e Bill Pullman, otteniamo un lavoro di grande fattura! Jessica incarna una smemorata Cora, incapace di rimembrare il trauma che ha scatenato la sua furia, una donna che si sente colpevole, eppure non colpevole allo stesso tempo. La maestria dell’attrice, di cui tanto si decanta la bellezza, è cristallina. Il caos mentale e la nebbia che fatica a diradarsi all’interno della sua mente si riflette negli occhi della sua interprete che, come un naufrago nel bel mezzo dell’oceano, non ha le coordinate per uscire da quell’inferno, non trova la chiave per aprire la porta che dà accesso alla verità, è perduta nel labirinto di immagini offuscate e confuse che si risvegliano dopo un lungo sonno pian piano, ma che non trovano un ordine, né una logica.
A suo supporto, fortunatamente arriva il Detective Harry Ambrose, un Bill Pullman che vince lo scettro di miglior interprete della serie tv. L’uomo che l’attore deve vestire è un uomo con tanti problemi, un passato traumatico, un matrimonio di cui non riesce a raccogliere i pezzi, una dipendenza sadomaso e autopunitiva, ma anche con una tenacia fuori dal comune. Senza quella, infatti, Cora Tanetti starebbe scontando l’ergastolo. Bill è davvero magnifico, ci coinvolge attraverso i suoi sguardi, quel suo modo di parlare, di muoversi, di sfoggiare sempre un sorriso amaro e ferito. Insomma, i due attori fanno un lavoro maestoso ed infiorettano una serie ed una vicenda, già di per sé eccezionale!
Come detto in testa all’articolo, la serie è antologica. Non sappiamo ancora se ci sarà una seconda stagione, ma Jessica Biel ha da poco affermato che si sta ragionando su un secondo capitolo. Ovviamente, essendo antologica, non sappiamo se la serie racconterà un’altra storia completamente diversa e scucita da quella che abbiamo potuto già gustare.
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Buona Visione!