Accoliti dell’horror fatevi avanti! Outlast 2 mette a dura prova anche quelli che alla paura, all’inquietudine e al terrore sono più avvezzi. Sulla scia della tensione che abbiamo prodotto a quantità industriale qualche mese fa con Resident Evil 7: Biohazard, i ragazzi di Red Barrels impastano ancora una volta ingredienti solidi e massicci, per poi sfornare un prodotto che centra esattamente l’obiettivo che si era prefisso. Outlast 2 è una prole se vogliamo ancor più ansiogena del primo atto, che esce dalle location chiuse ed esplora l’esterno con coraggio ed ambizione, ma sempre con un dosaggio molto alto di apprensione e turbamento tipica del titolo. Outlast 2 è spietato, malvagio, una bandiera della violenza, dannatamente malato, proprio come lo volevamo, proprio come ci appariva nel sonno profondo e perverso dei nostri peggiori incubi.
Nel bel mezzo della dannazione
Blake Langermann è un operatore video che si occupa, insieme a sua moglie Lynn, di realizzare servizi giornalistici d’inchiesta. La coppia si reca di volta in volta sul luogo del misfatto e in questa occasione sono diretti in elicottero verso il deserto dell’Arizona, dove è appena stato rinvenuto il cadavere di una giovane donna incinta, forse vittima di un deviante culto religioso. Purtroppo, uno dei due motori del velivolo va in avaria, costringendo l’equipaggio ad un rovinoso e disastroso approdo. Il dopo schianto corrisponde all’inizio della nostra avventura nei panni di Blake che, ritrovatosi a qualche metro di distanza dalle fiamme dell’elicottero, torna precipitoso sul luogo dell’impatto senza trovare cadaveri. Che fine ha fatto Lynn? Nelle vicinanze c’è un villaggio, “grazie al cielo” esclama Blake, incosciente che l’inferno gli ha appena aperto le porte.
Anche in questo secondo capitolo, Outlast ci ripropone le dinamiche del survival horror “passivo”, dove non siamo praticamente mai chiamati ad offendere o a difenderci, piuttosto a scappare a gambe levate, nasconderci, evitare di diventare cibo per maiali; specie con degli antagonisti tanto spietati e crudeli. L’angoscia è alla base del titolo, insieme allo spirito investigativo e di autoconservazione di un protagonista normalissimo, un uomo comune che di eroe non ha proprio nulla. Anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, alle volte ci sembra anche un po’ codardo, ma quale uomo normale non lo sarebbe in una situazione del genere? Tutto questo vira decisamente dalla parte del realismo e della verosimiglianza.
L’ambiente in cui siamo costretti a boccheggiare è cupo, tetro, perennemente buio se non fosse per la luce ad infrarossi della telecamera. A questo proposito vi consigliamo di salvaguardare le batterie perché non ce ne vengono messe a disposizione in quantità industriale e rimanere al buio potrebbe essere assai letale, specie con dei nemici che sembrano ormai aver fatto l’occhio alle tenebre. Teschi, carcasse, sangue e quant’altro, tutto in Outlast 2 rispetta i cliché horror di un’ambientazione che strizza l’occhio al demonio e ci impala sulla sedia, pronti a detonare in qualche urlaccio di spavento.
Il culto religioso e malato con cui abbiamo a che fare fa capo a Sullivan Knoth, figura che approfondiremo attraverso note sparse per gli scenari. Una sorta di folle santone in cui si annida il seme della perversione, che costringe i suoi seguaci a sacrificare i propri figli in nome di un Dio vendicativo. L’esaltazione di Knoth lo porta a soddisfare i suoi più bassi istinti attraverso lo stupro e l’uccisione di giovani donne, ormai assecondato dal suo “gregge” obbediente e soggiogato. La questione però è ben più ampia, perché le nemesi in campo sono due, con due obiettivi opposti, ma pur sempre sadici e velenosi. Come avrete intuito, il gioco non è fatto per stomaci deboli.
Una “religiosa” sopravvivenza
La campagna di Outlast 2 si dipana in sei capitoli i cui nomi si rifanno alla Bibbia. Per portarla a termine occorrono circa 10 ore di gioco, in pratica il doppio rispetto al primo capitolo. Questa volta la trama segue un perfetto filo logico che alterna il presente ai flashback di Blake che lo riportano tra le mura dell’istituto scolastico cattolico in cui, anni prima, ha dovuto assistere al suicidio di una sua amica. Le due fasi temporali si mescoleranno nel ventre del gioco, e si incroceranno verso il fotofinish, partorendo, a modo loro, un finale degno di nota.
Rispetto al primo capitolo, un po’ più attendista, lo stealth di questo secondo atto è un po’ più dinamico e attivo. Anche in questo caso c’è la possibilità di nascondersi ed attendere che i cattivi sloggino, ma il gioco ci induce spesso ad agire, a fuggire più che a imboscarsi. I nostri nemici, o almeno alcuni di loro, sono davvero inarrestabile, a volte anche frustranti. Su tutti, probabilmente, la strega che già avevamo visto nella demo. Le grida sonore e lancinanti che accompagnano la sua entrata in scena sono molto più squillanti e terrificanti delle altre distribuite nel gioco, inoltre, le “finisher” che sfogherà su di noi sono visivamente molto molto forti e brutali. Incrociare da vicino i nostri nemici corrisponde in pratica ad una ghigliottina quasi certa, tuttavia, lo sviluppatore ci dà la possibilità di riprendere la partita esattamente da dove l’avevamo interrotta prima di essere uccisi.
Pochi invece sono gli enigmi da risolvere; il gioco su questo è abbastanza lineare e scontato, ci lascia sbloccare ingranaggi e porte previo aver ritrovato lo specifico componente necessario. Le capacità di Blake sono abbastanza standardizzate: può correre (ma solo per brevi tratti), arrampicarsi, strisciare ed usare le bende; il tutto inquadrato in un’interfaccia molto semplice ed essenziale. Pochi invece sono i riferimenti alla mappa, quindi aguzzate il vostro spirito di osservazione e prendete a riferimento alcune strutture o oggetti, giusto per non rischiare di perdersi.
Come ormai sapete, la nostra “arma” principale è la videocamera, capace di fare luce là dove regna l’oscurità (praticamente ovunque) e di essere perfino le nostre orecchie grazie al microfono di prossimità. Buona sopravvivenza ragazzi!!
Anche l’occhio vuole la sua parte
Come abbiamo fin’ora sottolineato, l’ambientazione, prima ancora della trama e del gameplay, è forse il cuore pulsante del gioco. La perenne e impenetrabile oscurità è un’arma essenziale a favore di Red Barrels per costituire la cornice edificante del titolo. E’ vero, spesso le tenebre ci fanno procedere a tastoni, ci fanno perdere tempo, ma pensate se tutto fosse ben illuminato… Outlast sarebbe ancora lui? Quanto ci impiegheremmo a finire il gioco?
E’ forse proprio per questo che Outlast 2 non necessita di una grafica mozzafiato, rendere ogni dettaglio uno splendore non avrebbe senso in un gioco dove il vedo e non vedo è l’anima stessa, dove l’impulso e l’istinto sono forse più importanti della vista stessa. Ciononostante, lo sviluppatore e il suo Unreal Engine 3 fanno davvero un ottimo lavoro. Sia gli ambienti esterni che quelli interni, oltre ad essere molto vari, sono assai curati, fermo restando che la natura indipendente della produzione è alle volte evidente.
Dal punto di vista tecnico, possiamo dire che il gioco pesa forse un po’ troppo per quelle che sono le sue potenzialità e trova probabilmente un equilibrio perfetto nei 1080p. Il 4K può essere configurato, ma onestamente, non ha molta utilità; soprattutto perché non riesce a reggere i 60 frame al secondo stabili.
Un elogio dobbiamo necessariamente farlo anche al comparto sonoro, sempre molto attento a seguire le dinamiche e le sequenze di gioco. Sia le inquietudine delle musiche che la giungla di urla, rumori sinistri e chi più né ha più né metta, contribuiscono a rendere l’atmosfera ancor più ansiogena e tesa. I dialoghi sono in inglese, sottotitolati in italiano; nulla di particolarmente acuto, tuttavia, ben interpretati ed assortiti.
In generale non siamo d’accordo con alcune recensioni che non hanno apprezzato Outlast 2; usciamo da questa trincea di terrore pienamente soddisfatti.
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Buon Game!