Sono passati ormai dieci anni da quando Jay Asher iniziò la sua scalata verso la vetta più alta delle classifiche di vendita con il suo romanzo “Thirteen Reasons Why” – pubblicato in Italia come “13” –, un thriller psicologico ambientato in un liceo che, grazie alla sua contestualizzazione, è riuscito ad attirare l’attenzione di un’ampia fascia di pubblico. Ora, dopo varie voci riguardo la possibilità di un adattamento cinematografico, è stato Netflix a dar vita a una forma audiovisiva del romanzo, questa volta tuttavia in formato seriale che noi di blogames.it ci accingiamo a presentarvi.
Creata da Brian Yorkley (famoso per il musical “Next To Normal”) in collaborazione con Diana Son, “Tredici” è ambientata nel 2017 – non più nel 2007, quando il romanzo venne scritto – e si pone come un teen-drama decisamente ben riuscito, coniugando un ambientazione adolescenziale a una dinamica psicologica molto complessa e, per questo, motivo di attrazione anche per un pubblico più adulto.
L’adattamento della serie tv è stato affidato ai produttori esecutivi Tom McCarthy, Brian Yorkey, Selena Gomez, Joy Gorman e Kristel Laiblin Brian Yorkey.
Tredici: la trama della nuova produzione Netflix
Tredici episodi per la nuova serie targata Netflix, così come tredici sono i lati delle audiocassette registrate da Hannah Baker prima di togliersi la vita, tagliandosi le vene nella vasca da bagno della propria casa. Il contenuto? I motivi che l’hanno portata a compiere un gesto così drastico.
«Mettetevi comodi, perché quella che sto per raccontarvi è la storia della mia vita. O meglio, la storia di come è finita. Se state ascoltando questo nastro, vuol dire che siete una delle ragioni per cui è finita»
A svelarci ciò che Hannah Baker (la giovane e talentuosa Katherine Langford) ha registrato prima di compiere l’estremo gesto che ha dato il la allo sviluppo della trama è il giovane Clay Jensen (Dylan Minnette, protagonista del recente “Piccoli Brividi” e conosciuto per aver preso parte a diverse produzioni seriali nel corso degli anni), compagno di scuola e collega di Hannah, ma anche amico e possibile interesse amoroso. Due settimane sono passate dalla morte della ragazza quando, tornando a casa dopo le lezioni Clay trova sulla soglia una scatola a lui indirizzata: all’interno le audiocassette registrate da Hannah. Numerate con un blu acceso, dalla prima alla tredicesima, scopriamo come esse contengano le ragioni che hanno spinto Hannah ad uccidersi e come, prima di arrivare a Clay, esse siano state già consegnate e ascoltate da altre persone, tutte in qualche modo colpevoli – secondo la versione della storia narrata dalla ragazza – della morte di Hannah e tutte assolutamente determinate a non rendere il contenuto di nastri di dominio pubblico, per un motivo o per un altro.
Scopriremo, durante l’ascolto, che nonostante ci siano stati un paio di eventi più determinanti di altri, ciò che ha spinto Hannah a credere che non ci fosse una via d’uscita è stata una costante situazione di disagio vissuta nel corso dell’anno scolastico, provocata da alcuni piccoli gesti che, sommati tra loro, hanno ingigantito il problema fino a renderlo ingestibile, facendo credere alla ragazza che l’unica soluzione possibile fosse il suicidio.
Nel momento in cui Clay preme play sul primo nastro, la verità inizia ad emergere piano piano; tutti coloro che Hannah ritiene in qualche modo colpevoli, tutti coloro che non sono riusciti a salvarla ma che, anzi, hanno compiuto azioni che sono risultate essere distruttive vengono rivelate, una cassetta dopo l’altra, in un crescendo di responsabilità destabilizzante.
La fine di un’amicizia, una stupida voce che si è sparsa per la scuola; la reputazione rovinata e la propria libertà sempre più messa alle strette. Tutto ciò si accumula, fino ad esplodere come una bomba. Ciò che ci viene raccontato inizia ad assumere tonalità sempre più scure, fino al nero totale: lo stesso nero che ormai Hannah vedeva avvolgere la sua vita, senza più possibilità di una qualsiasi via d’uscita, senza nessuno a cui importasse abbastanza.
E noi spettatori viviamo tutto questo con la voce narrante di Hannah ad accompagnarci; ma a condurci per mano attraverso ogni step è anche Clay, un ragazzo che nell’apparenza nulla condivide con i protagonisti dei nastri ma che si ritrova ad essere inserito in quella lista di colpevoli. Cosa è accaduto davvero? E quanto dovremmo aspettare prima di scoprire la verità?
Tredici: una moderna disamina dell’adolescenza
Spostando l’ambientazione di ben 10 anni rispetto al romanzo, “Tredici” è riuscito a mantenere intatto il proposito originario: mostrare come alcuni gesti, alcuni comportamenti, possano essere percepiti in maniera differente a seconda del coinvolgimento di ogni individuo. E soprattutto come una serie di piccole azioni, se sommate tra loro, possano condurre ad esiti sconvolgenti. “Tredici” si inserisce così anche nel mondo della cronaca, che ci mostra come il mondo del liceo possa essere una passeggiata per alcuni e un inferno per altri; e tra questi ritroviamo Hannah, la cui vita liceale è stata marchiata fin dall’inizio. Un po’ come nel celebre film“Easy Girl”, ormai iconico, con protagonista Emma Stone, nella nuova produzione Netflix un ruolo fondamentale è affidato al mondo dei pettegolezzi, del passaparola e dei pregiudizi. E da tutto ciò la vita della giovane Hannah è stata irrimediabilmente marchiata, fin dai primi giorni del suo secondo anno nella nuova scuola.
Produzioni del genere non mancano di certo nel palinsesto contemporaneo, ma a rendere “Tredici” di una sensibilità superiore è la modalità della narrazione. Clay ci mostra i pensieri di Hannah con una vivida trasposizione immaginativa; ciò che egli ascolta noi spettatori lo vediamo chiaramente tramite efficaci flashback, rendendoci così partecipi della spirale in cui Hannah piano piano inizia a perdersi irrimediabilmente. Clay ascolta e noi vediamo, poco alla volta, così come poco alla volta la vita di Hannah Baker inizia a sgretolarsi. Un ragazzo sbagliato, amicizie finite, pettegolezzi infondati, segreti da mantenere, abusi psicologici e fisici: ognuno di questi elementi viene in “Tredici” portato a galla grazie all’impegno di Clay, il quale sfida l’omertà dei suoi compagni di scuola, di tutti coloro che erano stati giudicati colpevoli, al fine di fare giustizia per la ragazza di cui era innamorato – senza che lei ne fosse a conoscenza.
Tredici: nessuna apologia per i colpevoli
Importante è sottolineare come ogni personaggio venga identificato pienamente con la colpa che lo identifica, non tralasciando tuttavia altri aspetti del loro carattere. Sebbene la caratterizzazione dei personaggi venga gestita in maniera magistrale, mostrandoceli come essere umani, non come fantocci cui è stato assegnato un ruolo, nessuna scusante viene loro incontro. Sono ragazzi, certo, ma sono anche persone in grado di compiere le proprie scelte, con le quali saranno poi costretti a convivere per il resto della loro giovane vita.
Nessuno viene giustificato da Hannah, così come nessuno viene giustificato dallo spettatore; gli unici tentativi di apologia vengono fatti da i colpevoli stessi, i quasi si nascondono dietro motivazioni poco credibili con il solo fine di proteggere se stessi.
“Tredici” si pone in questo modo come un perfetto specchio della società moderna: tutti siamo stati Hannah almeno una volta nella vita, tutti ci siamo sentiti presi di mira per qualcosa o giudicati senza ragione alcuna. Ma quello che la vita ci insegna, e che la serie televisiva Netflix cerca di farci capire tramite Clay, è che, anche quando non sembra, un’alternativa c’è sempre, anche quando tutto sembra essere ormai piatto e senza importanza.
E soprattutto la serie TV non tenta di trovare giustificazioni di sorta, analizzando in maniera sensibile e scrupolosa ogni atteggiamento e ogni azione compiuta dai vari personaggi cui le cassette registrate da Hannah sono dedicate. La caratterizzazione avviene su un doppio piano: quello del presente, che ci mostra un comportamento guardingo, sulla difensiva e quasi esasperato di alcuni dei personaggi; dall’altro quello del passato, filtrato dalle parole di Hannah, tramite le quali conosciamo i vari protagonisti sotto una lente d’accusa, che li colpevolizza e ce li rende, automaticamente, ostili.
Ma sono tutti colpevoli in maniera uguale? Un pettegolezzo può essere comparato ad abusi psicologici e fisici di tutt’altra natura? Secondo “Tredici” sì; perché ogni piccolo gesto ha fornito il pezzo mancante che ha condotto al finale tragico che ci viene presentato nei primi secondi della produzione Netflix. Alla luce dei fatti ci ritroviamo a mettere sullo stesso piano ogni abuso, ogni parola detta in maniera sbagliata o ogni gesto sconsiderato effettuato: ma è davvero giusto? Un giudizio del genere spetta solamente allo spettatore, consapevole della storia e degli eventi e, perché no, anche un po’ più consapevole di se stesso.
Scritto da Marzia Meddi
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