Quello di Arrival è un incontro ravvicinato del quarto tipo; ma non fatevi ingannare, perché questo faccia a faccia veleggia su note ben più dolci e coraggiose del solito Invasion Movie. Denis Villeneuve dirige un’orchestra di archi che hanno intenzione di comunicare e non di distruggere. Soave è il suono che si ode dalla presenza di Amy Adams, che dopo Animali Notturni, veste panni completamenti diversi e lo fa divinamente.
Louis Banks, famosa linguista di fama mondiale, è una donna consumata dal dolore inconsolabile di una figlia morta prematuramente. Quella che appare palesemente una fine però, non è altro che la sua esatta antitesi. Nel globo galleggiano degli strani monoliti pachidermici, marchio di fabbrica di visitatori alieni dalle intenzioni sconosciute. Louis viene assoldata dall’esercito degli Stati Uniti per tentare un approccio comunicativo con gli intrusi, affiancata dal fisico teorico Ian Donnelly.
Il regista canadese approccia alla fantascienza facendo le prove di quella che sarà probabilmente la sua punta di diamante 2017, Blade Runner 2049. Ispirandosi al racconto “Storie della tua vita” di Ted Chiang, Villeneuve disegna un cerchio perfetto rifacendosi tanto alla visione olistica ed accogliente dell’E.T. di Spielberg, quanto a quella umana e soggettiva di Interstellar di Nolan; i protagonisti, tra un tremolio e l’altro, sono chiamati a comunicare e comprendersi a vicenda con queste criptiche forme aliene. Amy Adams dovrà armarsi di pazienza e di curiosità per edificare un vero e proprio alfabeto di un linguaggio universale che appare improbabile, eppure così pioneristico ed affascinante. Nella complessità dell’opera, spicca il polo opposto della semplicità, una pagina bianca su cui cade del normalissimo inchiostro nero aeriforme. Il nero e il bianco, niente di più semplice per mettere in comunicazione razze così distanti e differenti. La metafora è palese e accecante quanto la luce del sole, il messaggio che viene inoltrato al pubblico non occorre nemmeno di spiegazioni.
La fine e l’inizio, la tragedia e la rinascita. La telecamera volteggia armonica dinanzi al balletto dolce e amaro dei flashback e forward che confondono il pubblico, lo ipnotizzano, lo stregano con immagini aspre alternate a quelle zuccherine. Gli attori assecondano quest’innocuo inganno con una semplicità disarmante. Abbiamo già accennato alla bravura di Amy Adams, di cui erano già note le qualità, ma che in questa pellicola sorprendono oltremodo davvero chiunque. Il dolore che traspare dai suoi occhi, quella ricerca di risposte trascinate per inerzia non solo dalla fame di conoscenza, ma dalla sofferenza stessa di una donna dura quanto il monolite che ha di fronte. Amy è davvero grandiosa, perché in questo film non ha bisogno di abiti luccicanti da principessa, ne di quelli costosi e lascivi evidenziati dal trucco della ricchezza per brillare. Basta una tuta arancione biosicura e il suo straordinario talento per troneggiare in questa pellicola. Louis si spoglia della tuta e del suo dolore dinanzi agli alieni, allungando una mano amica di contatto, protendendosi al confronto e alla conoscenza, quanto alla fratellanza e all’ospitalità. Nei cerchi che si affannerà a studiare, troverà il tesoro della rinascita, perché il termine “cerchio della vita” non è solo un modo di dire, ma una realtà che tende a ripagare e a ricucire i vuoti che prima ha lasciato dietro di se.
Il resto del cast, cominciando da Jeremy Renner (Ian Donnely) e passando per il premio oscar Forest Whitaker (recentemente in Star Wars: Rogue One), contribuisce ad incorniciare un’opera coraggiosa e delicata. Molti spettatori, di quelli che calcheranno le sale cinematografiche bramosi di distruzione aliena, rimarranno inizialmente delusi; ma ne usciranno con un blocchetto di riflessioni su cui lavorare, con la pace e la riconoscenza di chi ha visto un ottimo film.
Le missive spedite dal regista e dai suoi sceneggiatori in questa pellicola non si limitano a presentarsi in grandi linee, ma scendono nel profondo, curando il dettaglio e raccontando, in un film d’alieni, una bellissima storia umana. La forma dei monoliti galleggianti ricordano in maniera abbastanza scaltra quella di un pancione, la roccaforte e il guscio sicuro di una vita prima ancora che venga al mondo. Capirete il suo significato quando a circa mezz’ora dalla fine, la trama comincerà a dipanarsi e a sputare verità, a raccontare la luce dietro le tende tenebrose della vicenda.
Senza spoilerare nulla, vi diciamo inoltre che il finale riuscirà a carpirvi qualche lacrima emozionata; ma non sarà la tristezza a scatenare il vostro pianto, bensì l’entusiasmo di un nuovo inizio, la chiusura naturale di un cerchio e l’apertura dolce e rigogliosa di un altro ciclo. Perché quando pensiamo alla vita, troppe volte, ce la immaginiamo come una linea retta, sulla quale inciampare e rialzarsi, per poi proseguire il cammino. La nostra esistenza invece, così come il Pianeta in cui viviamo, potrebbe essere una circonferenza su cui peregriniamo tentando di chiuderla, di ripassare dallo start, di fare della partenza l’esatto punto di “Arrivo”; il paradosso di compiere il giro del Mondo, solo per tornare a casa.
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Buona Visione!