Una serie di sfortunati eventi è una serie tv targata Netflix e ispirata all’omonima saga di romanzi per ragazzi scritti da Lemony Snicket. Otto episodi ideati dal genio di Mark Hudis, già sceneggiatore della quarta stagione di True Blood. Questo primo atto copre solo 4 dei 13 libri scritti sui tre orfani Baudelaire e le loro sciagurate vicende, per cui, lo diciamo subito, è lecito pensare ad almeno altre due future stagioni che andranno a chiudere il cerchio di fatti criptici e misteriosi.
L’antefatto che mette in moto quest’infausta e rovinosa catena marchiata dalla sventura è molto semplice. I coniugi Baudelaire vengono dati per morti in seguito all’incendio che ha divorato la loro splendida casa. Il caso, o forse un’assennata scelta, vuole che i tre loro figli, in ordine d’età, Violet, Klaus e l’infante Sunny, non fossero lì nel momento del delirio fiammeggiante. Accampati a giocare su una spiaggia, i tre bambini vengono raggiunti dal bancario Arthur Poe, nonché curante del testamento dei coniugi scomparsi, e quindi responsabile, non solo del loro patrimonio, ma anche dell’affidamento dei loro figli. Il patrimonio in dote a questi ultimi si preannuncia davvero ricco e sconfinato, ma potrà essergli assegnato solo al compimento della maggiore età di Violet. Il Conte Olaf farà di tutto per ottenerne la loro custodia e la patria podestà, con l’unico interesse di avvinghiare le sue furfanti mani al bottino e alla fortuna bancaria Baudelaire.
Come vedete, la trama rimane fedelissima ai racconti ed anche alla pellicola cinematografica del 2004 con uno strepitoso Jim Carrey nei panni del Conte Olaf. I due punti forti della serie si basano senz’altro sul fattore personaggi e sull’intraprendenza della sceneggiatura, sempre molto fiabesca, inverosimile (e in questo caso è un pregio) e divertente. Ma partiamo dai protagonisti.
I tre iellati orfani sono caratterizzati da qualità uniche. Violet è abilissima a costruire praticamente qualsiasi cosa; una MacGyver al femminile e con diversi anni d’esperienza in meno. La sua fame di creare però la porta a sviluppare l’ingegno più di ogni altra cosa, la ragazzina sa sempre come uscire dalle situazioni più ostiche; le basta tirar fuori il suo nastro per capelli, fare una splendida coda di cavallo, chiudere per qualche secondo gli occhi e il gioco è fatto: Violet trova l’escamotage per esorcizzare qualsiasi prigione ed evadere da qualsivoglia labirinto. Suo fratello Klaus invece è un lettore accanito, divora qualsiasi libro, qualsiasi foglio bianco ove sopra sia inciso dell’inchiostro. Il suo compito nella squadra è quello di studiare e catechizzare Violet, analizzare la teoria, perché la sorella la plasmi in pratica. Difficile, nonostante la giovane età, trovare qualcosa che Klaus non sappia o di cui non abbia almeno sentito parlare. Insieme, i due fratelli Baudelaire sono sempre vincenti, per la serie: L’unione fa la forza!
Ma non è finita qua, perché a completare questa rocciosa catena fraterna c’è la piccola Sunny. Poco più che neonata, Sunny parla un linguaggio che solo i suoi due fratelli ed i sottotitoli per lo spettatore riescono a comprendere; quello che dice è sempre molto intelligente, ironico e spesso comico. Nonostante un minuto corpicino, il suo contributo non si limita a ciarlare qualcosa, ma vede anche una parte action che spesso risulta essenziale. I suoi due dentini frontali sfoggiano una forza straordinaria, tanto da riuscire a sminuzzare qualsiasi cosa.
Il compito più arduo però era senz’altro affidato a Neil Patrick Harris, ovvero sia il Conte Olaf. Benché siano ormai trascorsi diversi anni, abbiamo ancora tutti in mente l’immagine di questo personaggio filtrato e messo in scena dalla maestria di Jim Carrey, proprio per questo, quello del conte era un ruolo assai rischioso e potenzialmente soggetto a critiche. L’attore del New Messico però, riesce a stupirci, a danzare con estrema armonia, stretto alla perfidia malefica e sinistra del personaggio, spiegandolo attraverso una gestualità superba ed imborghesita, mediante facce buffe ed emblematiche. D’altronde, il curriculum e i premi impilati sugli scaffali di casa Harris dimostrano tutto il valore di questo bravissimo attore. Il conte e la sua spietata cooperativa di attori senza talento sono la fotocopia della solitudine che annaspa nel tentativo di trovare nei beni materiali un po’ di felicità.
Altra menzione speciale va a Patrick Warburton, nonché, Lemony Snicket, nonché il narratore delle vicende, che vediamo apparire e scomparire con pregevole tempismo dinanzi la telecamera durante il corso della storia. Pur non chiamato a particolari guizzi, l’attore è sempre molto composto nel suo ruolo, la sua voce accompagna i fatti tanto da divenire una dipendenza a cui lo spettatore, dopo un po’, non può fare più a meno. Un pollice alto anche per K. Todd Freeman nei panni di Arthur Poe, banchiere dell’agenzia dei finanziamenti truffaldini che forse ha proprio sbagliato mestiere. Dal nome dell’azienda per cui lavora, Poe non ha preso proprio nulla, data la sua stucchevole ingenuità e superficialità, accecata ancor di più dalla brama di carriera voluta più dalla sua conserta che da lui stesso.
Ma come abbiamo accennato, questa serie non brilla solo nei suoi personaggi, ma anche per il suo comparto sceneggiatura. L’improbabilità fiabesca delle vicende ci è nota fin da subito, fin dalle prime battute. Per i primi dieci minuti questa caratteristica disturba un po’ la nostra mente logica e razionale; ma poi si erge a qualità assoluta della produzione, un elemento indispensabile che comincia a coinvolgerci e ad ipnotizzarci. La commedia assurda che si sviluppa viene ben accompagnata da ritagli scenografici di alto livello, coadiuvati anche da una grafica di assoluto rispetto per essere una semplice serie tv.
Una serie di sfortunati eventi inoltre è patria dei colori, con cui il regista gioca e si diletta nel tentativo di evidenziare ogni sequenza e ogni sezione narrativa del titolo. Il risultato è senza ombra di dubbio un successo: gli ambienti si colorano di chiaro o di scuro a seconda delle loro caratteristiche, passiamo dalla luccicante ed assolata abitazione del giudice Strauss a quella cupa e grigia dirimpetto del Conte Olaf, dalla splendida magione di Montgomery abitata da straordinarie creature rettili, alla piovosa ed uggiosa abitazione in cima ad una scogliera della zia Josephine, una donna ormai schiava delle sue paure che ha smarrito ogni forma di coraggio e audacia.
I dialoghi che vanno a cucire le scene sono sempre assai frizzanti e divertenti. La banalità e la semplicità con cui sono scritti si sposa alla perfezione con i personaggi che li pronunciano, sfornando una ciambella dal buco perfetto e farcendo il tutto di favola adolescenziale. In questo sfortunato racconto inoltre, la grammatica recita un ruolo a dir poco fondamentale. Lemony è un assennato oratore/interlocutore che dispensa significati e differenze tra le parole, i modi di dire, il linguaggio letterale e quello figurato, un’insegnante guida che ci mette sempre sulla strada giusta e che non vede né bianco, né nero, ma il paradosso chiaroscuro, veritiero e reale di vicende fiabesche.
Una serie di sfortunati eventi è il racconto della potenza smisurata della cultura e del sapere, il segreto vincente della buona educazione; messa allo specchio con la brama cinica di potere e denaro: quale delle due ricchezze è davvero più importante e chi, tra i tre orfani ed Olaf, è davvero più sfortunato?
Dopo i successi di The Crown, The OA e quant’altro, Netflix fa di nuovo centro!
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Buona Visione!