Qualche settimana fa avevamo aperto le porte ad una serie che si preannunciava essere un piccolo capolavoro. Dopo il pilot, ci eravamo espressi decisamente a favore di The Night of, vuoi per il mistero che si celava dietro gli eventi scompigliati e frammentati di una singola notte finita nel sangue di una adolescente, vuoi per un personaggio che faremo fatica a dimenticare; un avvocato segnato dalle piaghe di una malattia e da quelle più cocenti e raffinate della vita. Dopo otto episodi, il nostro primo commento non può che essere confermato. The Night of è una serie di valore con un cast che veleggia sugli stessi standard.
Ogni mistero che si rispetti, ogni criptico puzzle deve necessariamente possedere almeno un grande e spiazzante colpo di scena, un contropiede fulminante che si affaccia su nuove ed insospettabili finestre. La sorpresa più grande in The night of, quella che rappresenta in se un paradosso inconsueto, è che il vero colpevole del brutale ed inumano assassinio di Andrea Cornish non ha avuto un volto. Di sospettati alla sbarra del giudice ne abbiamo visti comparire molti, e in certi momenti, abbiamo creduto perfino alla colpevolezza dello sventurato Nasir, nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Le ultime scene ci lasciano intendere che verosimilmente l’assassino della giovane donna potrebbe essere proprio il suo notaio, ma il come e il quando ci sono stati volontariamente negati. Poco importa infondo non guardar in faccia al vero carnefice; molto più gradevole scrutare negli occhi dell’innocenza.
Gli occhi di Nasir, infatti, sono andati incontro ad un’evoluzione assai faticata, a cambiamenti obbligati e coercitivi. Quando eravamo solo all’incipit di questa storia, il giovane ragazzo pakistano era un semplice adolescente in cerca di svago, pieno di sogni ed illusioni, candido ed ingenuo. I suoi occhi poi, si sono macchiati di immagini orrende, di una mattanza che non ricordavano di aver concepito. La paura, l’indigestione di crudeltà, il veder ridotta in una scolapasta scarlatta quella che aveva rappresentato la sua prima evasione dalle regole, colei che aveva mostrato a Nasir il volto della spensieratezza, di quel “fuori campo” che almeno per una notte poteva essere concepito; avevano iniettato negli occhi del ragazzo una realtà fin’ora a lui sconosciuta, l’avevano gettato nell’incubo più oscuro in cui un uomo si ritrovi costretto a ballare.
Ma non è finita qua.. Gli occhi di Nasir avevano cambiato sguardo ancora una volta, subito dopo aver messo piede nell’affamato ed impietoso mondo dei carcerati. Uomini senza libertà, persi in un labirinto di celle e muratura, controllati da secondini come fossero animali, costretti a sopravvivere in una giungla dove il perdono non pare essere contemplato. Ecco allora che gli occhi del giovane ragazzo si trovavano disorientati, smarriti in una realtà sconosciuta, persi nel buio, allungando le mani per procedere a tastoni. In loro aiuto arriva Freddy, condannato all’ergastolo, che protegge Nasir perché il suo non è l’olezzo del colpevole, bensì il profumo dell’innocente. Ma il carcere è un luogo duro, fatto per i duri, e gli occhi di Nasir devono di nuovo adattarsi per sopravvivere. La droga, i tatuaggi e la violenza plasmano un nuovo ragazzo, tossicodipendente e tosto, eppure ancora innocente.
La portata prelibata di questo racconto però è senza dubbio la difesa. Rappresentata in aula da Chandra, brillante avvocatessa alle prime armi che si lascia corrompere da quel menzoniero dell’amore; ma sopratutto da lui, John Stone. Interpretato da un Turturro da Oscar, l’avvocato Stone è un combattente avvezzo al patteggiamento. Anche lui, come Freddy, aveva fiutato immediatamente l’innocenza di Nasir. E’ da Nasir e dal suo caso che Stone prende il coraggio di mettersi in gioco. Il salto dall’essere il difensore dei colpevoli che stringe continuamente la mano all’accusa, all’essere quello di un innocente la cui colpevolezza pare palese è abissale. Ma da questa sfida impossibile, Stone ritrova se stesso, riesuma l’uomo brillante che è, torna in prima linea nella trincea di parole del tribunale. Straziato dal suo aberrante e aguzzino eritema, John trova il coraggio di recitare l’ultima decisiva e disperata arringa nel tentativo di instaurare un ragionevole dubbio nelle menti della giuria.
John Stone è un uomo consumato dalla vita, un pavido condottiero che non vuol sapere di piegarsi; un uomo schietto, disilluso e dal cuore d’oro. L’ultima scena, quella che ci mostra l’ormai celebre gatto passeggiare beato per l’appartamento di John, è la fotografia dell’uomo che abbiamo osservato in questi dieci episodi, un uomo che si sacrifica in nome del giusto.
In ultimo, ma non per importanza, c’è la sceneggiatura. A fronte di un’intrigante trama e di personaggi davvero ben cuciti, i dialoghi e la sequenza delle scene sono l’imballaggio perfetto di una serie che esce dal magazzino con tanto di fiocco. La struttura su cui si erige The Night of è ben calibrata, le scene hanno una durata concisa, non vogliono mai far sbadigliare il proprio spettatore. Come se non bastasse i dialoghi si contraddistinguono per semplicità e veridicità. Non ci sono mai grandissime frasi ad effetto, bensì qualche parola colorita che non è mai installata a caso e che imprime ai concetti quell’incisività realistica non comune da ascoltare.
Per concludere, possiamo decisamente dire che The Night of, almeno a nostro parere, può considerarsi un prodotto superiore a quello che era stato Il caso O.J Simpson, che pur ritagliandosi da una storia vera e quindi obbligato a seguire una certa linea di svolgimento, non riuscì ad avere l’impatto che invece questa serie sembra fornire in maniera del tutto naturale. Inoltre, The Night of vuole picchiare duro sul sistema giudiziale americano che troppo spesso ha condannato innocenti, semplicemente per la fretta di farlo, senza farsi troppe domande e senza esplorare tutte le piste possibili. Insolito per noi italiani, che invece siamo abituati all’esatto contrario: il nostro è un sistema fin troppo puntiglioso, che in antitesi a quello statunitense, assolve di frequente palesi colpevoli (non so davvero dire cosa sia peggio). La domanda che quindi ci poniamo, per tirare le somme di questa serie è: chi l’ha detto che i tribunali sono noiosi?
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