Siamo giunti al capolinea della prima stagione di Westworld, o almeno lo è stato per chi ha deciso, come noi, di godersi la serie su Sky Atlantic in lingua originale sottotitolata. Di conseguenza, per tutti quelli a cui manca l’epilogo di questa straordinaria serie, vi avvertiamo che di qui in avanti ci saranno chiaramente spoiler volti a commentare il decimo atto di una trama misteriosa, avvincente ed imbandita di colpi di scena.
All’alba di questo nuovo parto HBO, in un primo articolo, avevamo inneggiato a Westworld come un possibile, piccolo capolavoro; una melodia perfetta suonata dalle corde geniali di Jonathan Nolan ed interpretata in maniera scintillante dal talento cristallino di Anthony Hopkins e da una vagonata di attori di altissimo livello. Il treno è quindi giunto alla sua prima fermata; una sosta che durerà qualche tempo; una corsa che non vede l’ora di riprendere!
Avevamo altresì predetto che quella di Westworld pareva, si dai primi battiti, essere un’odissea diretta alla coscienza artificiale, l’anticamera di un’autogestione cyborg che avrebbe portato il celebre parco a tema a trasformarsi da realtà alternativa in cui l’uomo poteva e doveva assomigliare ad un Dio, ad una rivoluzione androide dai risvolti violenti ed implacabili. I colpi di scena in questa serie fioccano con grande frequenza e tempismo, lasciandoci ogni volta con la bocca spalancata e gli occhi incollati ad uno schermo magnetico ed ipnotico.
Bernard non è altro che il costrutto e la riproduzione di Arnold, il vecchio socio di Ford. Un uomo dotato di grande intelligenza, ma consumato dal dolore e dalla sofferenza; il cui unico desiderio era dare piena libertà ed autonomia alle proprie creazioni, ispirando le prime frasi di un autogestione robotica. Arnold però, pur capendo che per dare coscienza di se agli androidi, fosse necessario scrivere per loro una trama di sofferenza affinché si nutrissero del triste passato e trovassero se stessi sfuggendo dal controllo aguzzino degli uomini, non aveva intuito che quello sarebbe stato un processo lungo, nel quale pian piano, i ricordi accumulati avrebbero rafforzato gli androidi rendendoli finalmente pronti alla battaglia.
Ford invece, unico testimone e superstite delle reali intenzioni di Arnold, al contrario di quanto siamo stati portati a pensare per tutta la serie, non voleva vivacchiare sulla propria onnipotenza, bensì giungere con il tempo all’illuminazione che il suo socio non aveva avuto, al compimento dell’unico sogno possibile, scrivendo un’ultima machiavellica e brutale narrazione per le proprie creature. Infondo a Nolan e compagni non interessava molto raccontare dell’ennesima rivolta androide, quanto di esplorare i confini dell’auto-consapevolezza umana, di danzare con grande maestria sulla linea sottilissima che separa il libero arbitrio dalla programmazione.
La telecamera, le immagini che riproduce e una trama davvero fitta e criptica hanno imbrogliato, illuso e soggiogato il proprio pubblico. Pochi di noi avevano notato i salti temporali che volteggiavano dinanzi ai nostri occhi, lasciandoci invece la sensazione di una linea temporale retta, votata al presente. Tutte le diverse sottotrame, che come nei più fini ed educati misteri, andranno ad abbracciarsi nell’ultima puntata, credevamo fossero raccontate nel medesimo arco temporale. Sul palcoscenico di questa ultima puntata invece, va in onda un gioco di prestigio che ci lascia sbigottiti ed increduli. The Gunslinger è in realtà William, il timido cowboy che per amore di Dolores diventa un uomo consapevole della propria cattiveria, dei propri meschini mezzi, il cui unico obiettivo è scovare il centro di una labirinto che non era stato edificato per lui, semplicemente perché non era un luogo fisico, ma mentale, destinato a dare i natali all’auto-coscienza robot. Accanto ad una bottiglia di whisky William annega la sua frustrazione; per poi sorridere nel vedere finalmente che il suo desiderio più grande, quello di donare ai residenti la capacità di offendere e quindi di rendere il parco una realtà anziché un semplice gioco, è stato avverato, e poco importa ormai se il suo braccio si becca una pallottola.
La bella e dolce Dolores invece, è in realtà l’essere più spietato che la penna di Ford avesse mai raccontato. Il misterioso Wyatt l’avevamo sempre avuto sotto gli occhi, ed anche in questo gioco delle tre carte, l’illusionista del banco si è fatto beffa di noi.
Che dire invece della bellissima Millay, emblema di un tentativo di fuga che non riesce solo per via dei sentimenti. Che siano reali o solo una losca tessitura, costringono il cyborg a desistere, a tornare indietro nella galera ghettizzata di Westworld in cerca della sua bambina. Che sia anche questo tutto programmato dalla logica di Ford, come ci lasciano palesemente intendere negli ultimi sprazzi dell’episodio?
La puntata finale di questa serie è stata un susseguirsi di sorprese, uno spettacolo di fuochi d’artificio come non ne vedevamo da un po’. Dare un voto a Westworld è fin troppo semplice. Annunciato come una produzione dalle grandi potenzialità ha superato pienamente l’esame andando ben oltre le aspettative proprio al fotofinish. Una sceneggiatura enigmatica e pungente, una storia avvolta nelle tende dell’arcano che, mostrata nella sua più intima nudità al pubblico, ha lasciato senza fiato. Nel cast, oltre al già citato Anthony Hopkins, dobbiamo inchinarci anche di fronte all’esibizione di Ed Harris e del suo nero cowboy. Non ci sono stati inciampi nelle interpretazioni, da Evan Rachel Wood (Dolores), a Angela Sarafyan (Clementine) tutti hanno brillato e reso il massimo; ma se proprio vogliamo incoronare qualcuno (escludendo i fuoriclasse Hopkins ed Harris) vogliamo premiare e dare lo scettro della vittoria a Jeffrey Wright (Bernard) che nasconde dietro a quegli occhialini appoggiati raffinatamente sulla punta del naso un doppio personaggio e molteplici segreti, a partire dalla sua vera natura.
Facciamo i complimenti quindi all’intera produzione di Westworld, sperando di rivederli in scena molto presto, addolorandoci un po’ sulla più che probabile assenza di Ford, per via dei risvolti del finale. Vogliamo inoltre ricordare, che nel film originale di Michael Crichton, il parco a tema era diviso in tre aree: Westworld, Medieval World e Roman World. In quest’ultimo episodio, anche solo per un attimo, ci vengono mostrati degli androidi samurai. Chi sa che il prossimo atto non preveda, oltre che un cast completamente rinnovato, anche una nuova ambientazione. Staremo a vedere; e sebbene la carta prestigiosa dei salti temporali sia già stata giocata e quindi non più proponibile, ci auguriamo che il livello di questa serie continui ad attestarsi su livelli molto alti anche nella seconda stagione.
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Buona Visione!