Come ripetiamo ogni volta, travasare un libro in una pellicola è sempre tanto rischioso quanto difficile. Nel caso della Ragazza del treno questo discorso viene accentuato da scelte alquanto discutibili del regista e dal poco tempo a disposizione per copiare ed incollare gli splendidi personaggi descritti da Paula Hawkins nell’omonimo romanzo sul grande schermo. Di per se, infatti, la trama del libro, così come quella del film, risulta essere un classico thriller di cui abbiamo già visto decine e decine di volte cloni e replicanti. La vera forza del romanzo invece era la maestria della penna della scrittrice, la profondità dei personaggi e lo sfondo sapientemente dipinto a rendere le vicende più appassionanti e coinvolgenti di quello che erano. Il film purtroppo non riesce e, forse non può, ripercorrere gli stessi binari. La Ragazza del Treno, versione cinematografica, si affloscia quasi subito sulle ginocchia, lasciando l’arduo compito di trascinare le scene solo alla sua protagonista numero uno: Emily Blunt.
Rachel è una donna in lotta con se stessa. Divorziata ed ancora innamorata del marito, che nel frattempo si è prontamente rifatto una vita ed una nuova famiglia, la ragazza prende, come fa tutte le mattine, il solito treno per dirigersi a lavoro. La stessa carrozza, lo stesso posto, lo stesso finestrino ogni santo giorno. E’ proprio attraverso quel velo vetroso che Rachel si tuffa nella sua stessa immaginazione, osservando la vita reale che scorre veloce. Ogni giorno, attraverso quel portale, osserva la vita di una coppia di giovani e, ancora ferita dalle sue storie sentimentali, si immedesima nella ragazza, Megan. Quando Rachel scopre che la donna ha una relazione con un altro uomo, perde il controllo e una volta rinvenuta, Megan è scomparsa. Rachel non ricorda nulla, non ricorda quale sia stato il suo ruolo in questa criptica vicenda: che sia stata testimone o piuttosto la protagonista della sparizione di Megan?
La regia di Tate Taylor difetta purtroppo in tante componenti, a cominciare dalla scelta degli attori. Emily Blunt è superba nella sua interpretazione e nel suo indiscusso talento d’attrice, il problema è che non assomiglia proprio per niente alla Rachel descritta dalla Hawkins. Se dal punto di vista caratteriale il personaggio è ben riprodotto dalla Blunt, non lo è e non può esserlo dal punto di vista estetico. La Blunt è troppo bella per interpretare Rachel e questo, ahimè, disturba l’occhio di chi ha letto il romanzo, lasciando invece indifferente e magari compiaciuto quello del profano. Edgar Ramirez deve interpretare uno psicoanalista di origini mediorientali, eppure il suo accento trasuda lo spagnolo in maniera troppo evidente, troppo vistosa. Haley Bennet, invece, chiamata a vestire i panni di Megan, riesce soltanto ad esprimere la sua bellezza e stamparsi negli occhi del pubblico come sex symbol. La complessità psicologica di Megan non è lontanamente neanche sfiorata dalle espressioni dell’attrice che ci sembra un po’ fuori luogo.
La scelta del cast non è senz’altro l’unica nota stonata di questa pellicola. Il cambio di location dal libro al film, e più in particolare da Londra alla periferia americana del New England pare un’opzione perpetrata in maniera un po’ sconsiderata. Anche la location londinese serviva nel libro a contestualizzare i fatti e la personalità dei protagonisti. Cambiarla, inevitabilmente, lascia un vuoto, una mancanza che ci sembra difficile da tappare. La sceneggiatura sembra alle volte perdere la bussola, i salti temporali appaiono forzati e artificiosi; ma soprattutto, per come la storia è narrata, ci viene difficile pensare alla colpevolezza di Rachel, dubitare di lei non è esattamente una cosa naturale in questo film.
I messaggi che nel libro la Hawkins invia ai propri lettori, sul grande schermo risultano essere superflui, poco curati, solo accennati. Queste tre donne così slegate e distanti fra loro fanno fatica ad avvicinarsi, se non per una mera necessità di trama. Nel libro invece, la profondità e il bagliore di questi razzi di segnalazione sparati in cielo dall’autrice sono cristallini e lampanti. L’importanza di essere donna di fronte alle avversità è decisamente evidenziata, mentre nel film tutto questo scintillio si fa solo sbirciare.
Purtroppo, La Ragazza del treno è un film che pare essere ricoperto e protetto da un glassa tutt’altro che dolce, come se faticasse a mostrare il suo cuore cremoso, come se si riuscisse solamente a grattare la superficie. Le uniche brillanti esecuzioni sono senz’altro l’interpretazione impeccabile di Emily Blunt (imbruttita per l’occasione, ma pur sempre incantevole) e il comparto musicale di Danny Elfman, sempre attento e coerente con le immagini. La ragazza del treno non è altro che un semplice thriller dalle sfumature abbastanza scontate e ritrite, destinato a deludere tanto i lettori del romanzo quanto i laici, coloro a digiuno di Hawkins.
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