In una Londra scintillante, che vede riecheggiare le brillanti insegne luminose di Piccadilly Circus, Bridget Jones torna sugli schermi per la terza volta con un secondo sequel tutto da ridere. Nel mezzo, “Che pasticcio, Bridget Jones!” l’unica cosa ad essere messa in risalto fu la goffaggine di una ragazza tanto forte, quanto debole. Lo scivolone era sempre dietro l’angolo, ed era anche la sola cosa che tentava affannosamente di strappare un sorriso allo spettatore. In questo terzo capitolo la musica cambia. Con l’aiuto di Dan Mazer, sceneggiatore di Borat, l’umorismo britannico diviene fosforescente, basando la risata sulle battute e sulla recitazione piuttosto che sugli inciampi della protagonista.
Bridget é ormai divenuta una donna in carriera. Dirige un programma di news con successo, e la sua professionalità, la sua crescita, sono evidenti. Ma essendo ormai una donna di mezz’età e avendo avuto guai con l’amore per tutta la vita, Bridget é alla ricerca di puro sesso, di sfogare i suoi istinti animali per combattere lo stress e ripianare la sua serenità. Trova un ottimo compromesso in Jack Qwant, inventore dell’algoritmo dell’amore e aitante uomo sulla quarantina, belloccio e tremendamente affascinante. Allo stesso tempo, però, la ragazza non sa resistere alla tentazione di cadere nuovamente fra le braccia di Marc Darcy, l’ex di turno, tutto d’un pezzo e rigido come una scatoletta di tonno. Tutto sembra filare liscio, ma è proprio in questa armonica equazione sessuale che nasce il problema. Bridget é incinta! Ma la domanda é: chi é il padre? L’incognita dell’equazione è nascosta bene, i calcoli sono molteplici e risolvere la nebbiosa vicenda è complicato; specie se entrambi i pretendenti hanno il desiderio assoluto di divenire papà.
Sharon Maguire dirige un cast di grande livello immergendolo in una vicenda tanto impasticciata quanto divertente. Renée Zellweger é in ottima forma. Nonostante qualche critica piovuta per via di alcuni ritocchini estetici che l’attrice statunitense si è regalata, la sua interpretazione e il suo viso pulito e candido rispecchiano ancora alla perfezione la semplicità e la genuinità della Bridget raccontata dalla penna di Helen Fielding. Questa volta però, la donna non ha il tempo di essere ingenua; deve piuttosto barcamenarsi tra due futuribili padri, due potenziali compagni, mentre il pancione cresce a dismisura. Renée e Bridget sono oramai la stessa cosa; l’attrice è fantastica nelle sue espressioni comiche e nel suo pungente umorismo. Strappa senza troppi problemi la risata grassa al suo pubblico e dirige con grande maestria l’orchestra di quella che, parole del film, sembra una “finale di X Factor”.
Renée è affiancata a due attori che sanno decisamente dire la loro. Colin Firth, nonostante gli anni passino per tutti, é ancora un bravissimo Marc Darcy, é ancora l’avvocato perfettino e tremendamente serio di una volta. L’altra faccia della medaglia, l’altro concorrente in gara é interpretato splendidamente da Patrick Dempsey, con quel suo fascino a metà tra l’elegante e il bruto, sempre ordinato e calibrato alla perfezione per le commedie romantiche. La sfida tra i due non è quella tra due maschi alpha, piuttosto quella tra due gentil uomini, educati e signorili, che si daranno battaglia a suon di battute e situazioni decisamente ironiche. Lo scontro fra queste due anime in cerca di un bebé é ben orchestrato da una sceneggiatura di livello, che comprende fin da subito quali dovevano essere gli schemi vincenti di questo secondo sequel, ne fa tesoro, e li esibisce con grande spolvero sullo schermo.
Le vicende si svolgono in una Londra che, come sempre ammalia. A differenza di molte altre pellicole, magari thriller o poliziesche, in cui la capitale inglese ci viene mostrata fredda e quasi ostile, in questo caso la città è molto simile a quella che ci dipingeva Notting Hill: dolce, fascinosa e in barba alle temperature, calda e rilassante. Sarà forse che l’ambiente é infiammato dai tre protagonisti e dalle loro movimentate vicende, ma la Londra di Bridget Jones’s baby ci ispira solo bellezza e armonia.
Il terzo capitolo della serie ci ha piacevolmente coinvolti. Bridget é ormai divenuta il simbolo della realtà che si contrappone alle tante favole che il cinema ci racconta; l’emblema della normalità ed esattamente il contrario della perfezione. E’ per questo che amiamo Bridget, perché é una di noi, lei appartiene al reale più di quanto facciano molti suoi colleghi anche’essi propri della finzione, molto di più di quanto faccia perfino la gente (reale) nel disperato tentativo di indossare maschere di eccellenza e mostrarsi agli altri come la società ci impone di essere. E’ così che nascondiamo le nostre debolezze (pare che non piacciano a nessuno), le nostre anomalie; i nostri difetti e spesso e volentieri anche l’essenza stessa del nostro essere. Il film glissa addirittura sul romanticismo della gravidanza, lasciando spazio alla faccia più realistica della disperazione e dell’affanno, di un’attesa che non era attesa e di una scelta, quella del padre, che metterebbe alle corde chiunque.
Campagna di Sensibilizzazione: Dona un like/follow alle pagine social di bloGames.it. Adottaci, è facile! (senza nemmeno chiamare il numero verde :-P)
Buona Visione!