Quanti di noi da piccoli hanno avuto paura del buio? Quanti ancora non riescono a dormire senza un pizzico di luce? Il timore dell’oscurità, scientificamente noto come acluofobia, è una paura molto comune. La potremmo definire quasi “di massa”. E’ su questo che gioca la pellicola diretta da David F. Sandberg, prodotta da New Line Cinema (per citare solo uno dei molteplici produttori) e distribuita da Warner Bros. Così com’era accaduto per Babadook, Lights Out è la prole estesa di un cortometraggio di circa due minuti, vincitore, nella sua categoria, al festival di Bilbao.
Qualcosa di molto strano sta accadendo in casa di Sophie, una donna afflitta da gravi problemi mentali. Suo marito è da poco deceduto per cause al momento oscure e ancora da definire. La donna vive da sola con suo figlio Martin di circa 10 anni; mentre Rebecca, la sorella maggiore, è andata via di casa tempo prima. Una presenza maligna tormenta la vita del piccolo ragazzo, si cela nel buio ed è in grado di controllare la luce. Sophie però, sembra stranamente non temere tale tenebrosa entità. Rebecca è costretta a tornare a casa, affiancata dal suo ragazzo tutto metal e muscoli.
Come già accennato, il film trae ispirazione da paure recondite e ancestrali; per l’essere umano, quasi genetiche. La paura del buio è un timore che, in qualche modo, alberga un po’ in tutti noi (precisiamo che c’è differenza tra paura e fobia), è il timore di cosa si possa nascondere nell’ombra a metterci i brividi. L’impossibilità di vedere ci causa smarrimento, insicurezza, perdita di controllo. Se è vero infatti, che ciò che non conosciamo, che non possiamo constatare, ci affascina; è anche vero che, allo stesso tempo, ci allarma e ci spaventa. Il personaggio di Diana è senz’altro efficace (molto più pungente e terrificante nel corto, che nel film). Specialmente nei minuti iniziali, la sua figura, che appare e scompare allo spegnersi e all’accendersi della luce, fa effetto; ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine. Il suo volto viene mostrato solo una volta in tutto il film, ma le sue dita lunghe e deformi diventano presto un incubo ricorrente. Molti si attendevano un personaggio visto e rivisto. Invece Diana ha venature assolutamente originali; il suo essere è audace e ben concepito, l’anima del film!
Sandberg imbastisce una pellicola che nella sceneggiatura conta senz’altro dei buchi. Allo stesso tempo però, il regista svedese, nasconde bene le crepe dando poco tempo allo spettatore di notarle. La trama corre veloce e con poche e brevi soste. Gli intervalli di tranquillità tra una scena ad alta tensione e l’altra ci sono, ma sono comunque quasi tutti incentrati su Diana. Questo ci costringe a rimanere attenti e a tralasciare i dettagli mancanti e i passi falsi. Va ricordato che il film è di fattura casalinga, un low cost! Di conseguenza, alcune mancanze sono assolutamente accettabili, anzi; considerando i mezzi a disposizione, possiamo decisamente definirlo un ottimo lavoro!
Punto forte del film è senza ombra di dubbio il cast. Maria Bello (di chiare origini italiane) interpreta Sophie, la ricordiamo tutti per The Cooler e A History of Violence, per i quali ha ottenuto due candidature ai Golden Globe. La sua interpretazione è veritiera e molto intensa, soprattutto nelle scene finali. Rebecca è l’australiana Teresa Palmer, interprete di vari personaggi in film quali The Grudge 2, l’Apprendista Stregone ecc.. La sua recitazione è ottima, forse non quanto la sua piacevole presenza, ma comunque di buon livello. La sorpresa (che tanto sorpresa poi non è) è Martin, inscenato dall’undicenne Gabriel Bateman (Outcast, American Ghotic). Il classe 2005 sembra avere un futuro roseo come attore. La sua interpretazione è in piena sintonia con il personaggio, fa trapelare con ottima riuscita l’inquietudine di una ragazzino spaventato dal nuovo parassita radicato nella sua casa, che va a trovarlo di notte e che lo costringe a cercare un coraggio assolutamente inusuale per un bambino. Il cast è dunque una graditissima macchia di colore acceso in un’atmosfera decisamente tetra.
A proposito di atmosfera. I complimenti vanno volti anche alla fotografia, nella persona di Marc Spiecer. Non era facile rendere perfette le luci di un film che proprio su questo deve basare il suo successo.
In linea generale Lights Out: Terrore nel Buio è senza ombra di dubbio un buon horror. La sua originalità è temeraria ma assolutamente apprezzata; per di più, in un ambiente che di presenze malvagie ed occulte ha già visto quasi tutto. Andare al cinema alla ricerca di un po’ di tensione e di brivido può assolutamente correre di pari passo con questo film, e sono certo, che alcuni di noi, tornando a casa e infilandosi sotto le coperte, staranno attenti a tutte le ombre e lasceranno la luce accesa!
Ecco il cortometraggio vincitore al festival di Bilbao.
Buona Visione!